(Milano) L’umano? Una traiettoria “dall’inorganico all’inorganico”. Hiroshi Ishiguro, docente dell’Università di Osaka, considerato il maggior esperto al mondo di robot umanoidi, ha tenuto oggi una lezione all’Università Cattolica di Milano, intervenendo all’evento dal titolo “Hiroshi Ishiguro’s version on robotics and artificial intelligence: the big questions”. Tutto esaurito nella grande aula Pio XI: autorità accademiche, docenti, ricercatori e numerosi studenti hanno seguito una performance di oltre un’ora, durante la quale lo scienziato ha spiegato vantaggi e risvolti problematici della robotica umanoide, lanciandosi in valutazioni interessanti, spesso innovative, che hanno però seminato più di un dubbio (raccolti dal Sir al termine dell’incontro), compresa la sopracitata e netta definizione dell’umano, che lascia intravvedere ciò che in genere viene definito transumanesimo. Focus, dunque, sull’intelligenza artificiale, sugli avatar, collocando forse sullo sfondo aspetti non di seconda rilevanza, tra cui le relazioni interpersonali e sociali, il “peso” della cultura, la soggettività e la “coscienza”, i processi generativi. L’intento espresso dallo studioso, noto in tutto il mondo, è di “creare una società simbiotica tra esseri umani e robot”, per mezzo dei quali “la stessa esistenza umana trarrà dei vantaggi”. Ishiguro ha ricordato come già oggi vi siano interazioni quotidiane tra uomini e robot, o forme “intelligenti” di macchine: numerosi i possibili esempi in tal senso. “Occorre esplorare cosa significa e cosa comporta – ha avvertito egli stesso – l’interazione uomo-robot. L’intelligenza costruttiva dell’uomo è la base per questo approccio”.
L’esperto ha poi evidenziato come esista un “collo di bottiglia” che riguarda la “relazione”, il “conversare con i robot, perché il cervello umano è molto più complesso dell’intelligenza artificiale”. Ishiguro ha quindi presentato il proprio avatar, Geminoid, da lui stesso creato, mostrando un paio di video e ciò che l’avatar “può fare al mio posto”: parlare, gesticolare, relazionarsi con l’esterno, naturalmente sulla base delle conoscenze, del linguaggio, persino delle movenze che vengono assegnate (insegnate) all’avatar o a un qualunque robot.