Fare comunione significa anche imparare a “sopportare la realtà, con delicatezza, generosità, amore e coraggio, per la pace e la salvezza del mondo intero”. Ne è convinta Anna Rowlands, docente di Dottrina sociale della Chiesa alla Durhman University, intervenuta alla quarta Congregazione generale del Sinodo sulla sinodalità, che oggi comincia a riflettere sulla sezione B1 dell’Instrumentum laboris. “La comunione è la bellezza della diversità nell’unità”, ha esordito l’esperta: “In un mondo moderno che tende al tempo stesso all’omogeneità e alla frammentazione, la comunione è un linguaggio di bellezza, un’armonia di unità e pluralità”. “La Chiesa non è mai in competizione con la cultura”, il monito sulla scia di uno dei padri del Concilio, Henri de Lubac: “Nelle culture in cui abita, essa confessa e riceve Cristo. La comunione che irradia è una diversità non competitiva, autentica, che trova il solo punto di unità nel Dio trinitario. Di fronte a una mondanità che spesso adora la forza competitiva e assertiva e la logica del possesso piuttosto che della relazione, Dio ci attira in una comunione di umiltà e di servizio”. Di qui la necessità di chiederci “come farci più vicini ai più poveri, più capaci di accompagnare tutti i battezzati in una varietà di situazioni umane, più liberi dal falso potere, più vicini ai nostri fratelli e sorelle cristiani e più impegnati nel dialogo con le diverse culture in cui siamo inseriti”. “La Chiesa è nata dentro la drammaticità della condizione umana: in un rifugio temporaneo, sulla Croce, a Pentecoste”, ha osservato la relatrice: “La nostra cattolicità continua a essere vissuta nel mezzo della drammatica condizione dell’umanità. Parliamo di comunione, non a partire dalla tranquillità di una perfezione che si trova al di fuori della nostra portata, ma a partire dal bisogno di collocarci nella lotta di ogni cultura e di ogni situazione per la verità, la bellezza e la bontà”. La comunione cristiana, in altre parole, è “una comunione nella dignità, attraverso cui la Chiesa incontra Cristo che è già seduto a tavola con i più poveri”. La comunione è infine “una partecipazione che ci lega agli altri attraverso il tempo e lo spazio”, ha concluso Rowlands: “Una parte cruciale del motivo per cui il lessico della comunione è un linguaggio pasquale, e quindi un linguaggio di speranza, è il fatto che lega passato, presente e futuro con un filo d’oro. In un’epoca spesso intenta a recidere questi legami, la nostra fede vi si tiene stretta”.