“La situazione in Kosovo è molto fragile, siamo stati testimoni di una escalation della tensione mai vista e immaginata ma bisogna tenere la zona sotto controllo con l’aiuto delle forze della Nato e di Kfor perché altrimenti il rischio è altissimo”: lo spiega al Sir l’analista dei Balcani Nikolay Krastev. Il 24 settembre la polizia del Kosovo si è scontrata con un gruppo di serbi pesantemente armati nel Nord del Paese, una zona abitata prevalentemente dalla comunità serba, e nella sparatoria tre serbi e un poliziotto albanese sono rimasti uccisi. “Sia le autorità del Kosovo che quelle della Serbia si accusano a vicenda: Belgrado accusa il Kosovo che non vuole implementare l’accordo che prevede la creazione dell’Associazione dei comuni serbi nel Kosovo del Nord, mentre Pristina accusa la Serbia di aver armato e supportato i militanti serbi”, rileva Krastev. A suo avviso, “il fatto che un gruppo di 30 persone riesca a passare la frontiera con armamenti, secondo il premier del Kosovo è molto preoccupante per l’Ue e gli Usa”. Il premier kosovaro ritiene, in base a documenti confiscati, che si tratta di un piano per annettere il Nord del Kosovo tramite un’operazione coordinata su 37 posizioni creando un corridoio verso la Serbia per consentire il rifornimento di armi e truppe”. “Ciò significa che gli sforzi della comunità internazionale di arrivare a una normalizzazione delle relazioni sono falliti”, ammette l’analista. “L’assembramento di così tante forze armate da parte della Serbia al confine con il Kosovo è una minaccia che potrebbe arrivare a un nuovo a un conflitto”.
“I serbi non vogliono ammettere la realtà che il Kosovo è un Paese indipendente e non vogliono integrarsi nel nuovo Stato, anche se hanno molti diritti, inclusi 13 posti nel parlamento nazionale”. spiega Krastev. E mentre il presidente serbo Vucic dichiara che la comunità serba nel Nord del Kosovo sta diminuendo, l’analista rileva che anche il premier kosovaro Kurti “dovrebbe essere più propenso ai compromessi e al dialogo perché altrimenti non si arriva da nessuna parte”. A suo avviso “ora che la Nato ha aumentato la propria presenza nel Paese balcanico con 600 militari britannici, bisognerebbe aumentare le loro competenze per avere un ruolo più attivo nel proteggere la pace in Kosovo”.