A differenza del sacerdote e del levita, il samaritano “si accorge dell’uomo infortunato, ma non cambia la direzione di marcia per evitare una spiacevole esperienza e si espone a un forte impatto esistenziale”. Così il card. Angelo Petrocchi, arcivescovo dell’Aquila, ha commentato la parabola evangelica, intervenendo al Convegno nazionale “Il terremoto dell’anima”. “Proprio perché riconosce e rispetta l’umanità di quell’ uomo, va verso di lui”, ha proseguito il porporato: “Emerge la reazione giusta, intellettuale e morale, biblicamente fondata: la ‘con-passione’, che è sofferenza assunta e condivisa. L’altro è riconosciuto simile nell’umanità e fratello in una prospettiva di fede, perché creato e redento dall’unico Padre che è nei Cieli”. “L’intervento è rapido, concreto e adeguato”, ha proseguito Petrocchi: “è una azione congrua perché risponde alla condizione di estrema necessità dell’uomo vittima di violenza; il Samaritano si sottopone a una fatica pesante perché compie lo sforzo di prenderlo sulle braccia e sollevarlo, fino a deporlo sul dorso del suo cavallo. Dandogli il suo posto, si priva di un importante mezzo di locomozione e di appoggio; il gesto non si esaurisce in un atto di generosità episodica, ma si organizza come atteggiamento stabile, mirato a dare conforto e a favorire la guarigione di quell’ uomo, diventato non solo qualcuno, conosciuto per caso, ma un amico da assistere: ciò postula la mobilitazione permanente del pensiero e del cuore”. Il “si prese cura di lui”, quindi, “non è solo premura esterna; questa sollecitudine dimostra che nel Samaritano si è spalancata la porta della fattiva ospitalità nella casa della sua anima. La dedizione non resta a livello di commiserazione declamata o solo figurata, ma si traduce in passi efficaci e trasformanti; la volontà di condivisione non si ferma all’atto di caricarlo, ma si spinge avanti fino alla scelta di prenderselo a carico”. “La carità samaritana affronta i costi del bene-fatto”, ha commentato il cardinale: “è pronta a spendersi e ad erogare dal proprio capitale (spirituale e materiale)”. “Non ci si può contentare di aver maturato solo convinzioni altruistiche, ma occorre muoversi per renderle operanti”, il monito del porporato: “Per il credente – animato da prossimità samaritana – rispondere virtuosamente alle urgenze umane in cui si imbatte comporta accendere una vigilanza evangelica per intercettarle, incontrarle e prenderle su di sé. Il prossimo non può lasciare indifferenti; provoca a una risposta, impegna in una tenerezza concreta, oblativa, capace di rischio, per soccorrere il ferito”. “Occorre un tirocinio evangelico per diventare esperti in umanità, specie di quella segnata da traumi”, la tesi di Petrocchi: “Inoltre, bisogna avere sviluppato una sensibilità globale alla sofferenza, nelle sue molteplici dimensioni, per vibrare all’unisono con il dolore dell’altro e avvertire la spinta a neutralizzarlo, come fosse il proprio”.