“E’ necessario un grande cammino della Chiesa per trovare un linguaggio nuovo, soprattutto nel mondo digitale e nel linguaggio liturgico, che è assolutamente desueto per i giovani”. Lo ha detto madre Ignazia Angelini, badessa dell’Abbazia di Viboldone e assistente spirituale al Sinodo sulla sinodalità, rispondendo alle domande dei giornalisti, nel briefing di oggi in sala stampa vaticana. “Conversione”: è questa, secondo la religiosa, la parola d’ordine per il periodo che ci separa dall’assemblea conclusiva dell’ottobre prossimo: “bisogna coinvolgere le Chiese locali e cercare nuovi linguaggi e nuovi luoghi per colmare l’assenza dei giovani dalle liturgie e dai momenti associativi”. “I giovani hanno bisogno di raccontarsi”, ha detto madre Ignazia descrivendo le sue percezioni al Sinodo, dove non aveva né diritto di parola né di voto: “I giovani presenti al Sinodo hanno colto con serietà il problema. Loro e i loro coetanei devono essere non soltanto ascoltati, ma inclusi in contesti di discernimento, di letture della storia e nei processi decisionali”. Madre Angelini, parlando della sua esperienza di badessa “ai margini di una grande città come Milano, in una periferia però profondamente inserita nel vissuto ecclesiale e sociale”, ha definito il Sinodo “un evento molto significativo, quasi rivoluzionario, che ha significato un cambio di passo nella vita della Chiesa per la sua pervasività e per la capacità di ascolto delle differenze”. “Tutto ciò – ha rivelato – ci ha permesso di guardare alla realtà in un momento della storia segnato da una complessità e una indecifrabilità terribile, che chiede alle fede una prospettiva più alta, quella della presenza di Dio che si fa carne nella storia in un momento in cui la storia è tormentata. Il fatto che vescovi, cardinali, laici e religiose dalle esperienze e provenienze più diverse e delle culture più lontane abbiano trovato un luogo per confrontarsi, per pregare insieme e trovare visioni di futuro è stato per me innovativo. L’importante è vedere come il cammino andrà avanti, affinché quella che abbiamo vissuto non resti un’esperienza bella ma autoreferenziale”.