“Oggi – in una cultura della lotta per la supremazia, del profitto e dei followers, o dell’evasione – la paziente opera di semina di questo sinodo è, in sé, come un atto profondamente sovversivo e rivoluzionario”. Ne è convinta madre Maria Ignazia Angelini, che nella sua meditazione alla sedicesima Congregazione generale del Sinodo sulla sinodalità, giunto alla sua settimana conclusiva, ha parlato del Sinodo come “semina per aprire cammino verso una nuova forma, la riforma che la vita richiede”. “Le storie che oggi si raccontano attingono filo di senso dai luoghi comuni di una cultura omologata, o da melense miracolistiche fiction, o al contrario da sconsolate repliche di Godot”, la denuncia della religiosa: “Ci vuole molto silenzio e umiltà vera. La formazione della coscienza dei battezzati Dio sta trasformando il mondo, guarisce le ferite e perdona e vincendo i nostri fallimenti, ponendosi visibilmente – come l’infimo – accanto ai processi del mondo e dentro tali processi. La questione è di vederlo, e crearne, e nutrirne, narrazioni concrete”, in una “umanità tentata dal post umano”. Di qui la necessità di “dissociare decisamente l’opera pastorale da ogni prospettiva statistica, efficientistica, procedurale eretta a sistema, concentrandosi sulla formazione della coscienza dei battezzati”, il monito di madre Ignazia: “In un mondo saturo di hybris, tentato dal post umano – ha concluso – io prego che questo Sinodo riceva l’arte di nuove narrazioni, l’umiltà radicale di chi apprende a riconoscere la somiglianza del Regno nei dinamismi più veri, vitali, dell’umano, dei legami primari, della vita che pulsa misteriosamente in tutti i mondi e le sfere dell’esistenza umana, in una mirabile nascosta armonia. Con tanta pazienza. La capacità di scrutare la notte. Buon lavoro finale: nella narrazione di parabole nuove, che danno a pensare, crescere, sperare, camminare insieme”.