100 famiglie sfollate dal Nagorno Karabakh, “ripulito” con la forza dalla presenza del popolo armeno. Sono state accolte dalla Chiesa cattolica tramite la Caritas Armena. Un pacchetto di accoglienza che offre, per un periodo di sei mesi, vitto e alloggio ma anche un’assicurazione e la ricerca di un posto di lavoro per “aiutare gli sfollati, a ricominciare una nuova vita in Armenia”. È Sua Beatitudine Raphaël Bedros XXI Minassian, patriarca di Cilicia dei cattolici armeni a fare il “punto” della situazione degli sfollati giunti in Armenia dal Nagorno-Karabakh e delle iniziative messe in campo dalla Caritas per aiutarli. L’aiuto alle 100 famiglie per sei mesi ha un costo di 100mila euro. Minassian conferma le cifre degli organismi internazionali e parla di 107mila persone arrivate ad oggi in Armenia. Fra gli sfollati, l’Unicef stima che 29.000 siano bambini. Se si tiene conto che nell’enclave si contavano 120mila armeni, le cifre degli “sfollati” dimostrano che “dentro” sono rimasti in poche migliaia. “C’è una minoranza che è costretta a rimanere lì”, conferma il patriarca. “Sono circondati e per vari interessi non li lasciano partire. Hanno ripulito tutto il territorio”. In questi giorni, il patriarca si trova in Armenia (domani riparte per Roma) dove ha potuto parlare personalmente con le persone in fuga. Al Sir racconta come li ha trovati psicologicamente. “Hanno perso tutto. Completamente tutto”, dice. “Mi trovo purtroppo a pronunciare ancora una volta la parola genocidio. Queste persone sono vittime di un genocidio. Hanno ucciso e torturato le persone. Se la prendono anche con gli anziani. È una cosa umanamente parlando inaccettabile, inammissibile. Ma nessuno ne parla. Il popolo armeno è povero, senza un protagonismo forte nel mondo. Quindi è completamente dimenticato da tutti. Siamo stanchi di sentire dichiarazioni di simpatia. L’ho detto già tante volte. Non bastano le parole. C’è gente che muore. Gente che ha perso tutto. Hanno preso anche le chiese che su quella terra esistevano da secoli. Non si fa. Non c’è rispetto per la dignità dell’uomo e della sua storia”. Nel commentare l’appello al dialogo tra Azerbaigian e Armenia lanciato ieri dal Papa all’Angelus, anche Minassian invita le parti a “lavorare per la pace non per la produzione delle armi”. È quello che attende la gente. “Sono venuto qui per incontrare le persone accolte nei nostri centri e posso testimoniare che sono commossi. Provano un profondo senso di gratitudine per l’affetto ricevuto e per la nostra presenza. A loro ho detto solo questo: ‘Tu non sei rifugiato, sei membro della mia famiglia, benvenuto a casa’”.