L’ordinario militare per l’Italia (Omi), mons. Santo Marcianò, ha presieduto ieri l’eucaristia nel duomo di Argenta, nell’ambito del centenario della morte di don Minzoni, per il quale nei prossimi giorni sarà avviata la fase diocesana della causa di beatificazione. Hanno concelebrato l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, mons. Lorenzo Ghizzoni, oltre al parroco don Fulvio Bresciani e alcuni cappellani. Nell’omelia mons. Marcianò ha ripercorso le fasi salienti della vita del sacerdote ucciso da squadristi fascisti nell’agosto del 1923. Da cappellano militare, ha detto l’arcivescovo castrense, “tanti lo ricordano forte e coraggioso, saggio nel dare consigli ai soldati e nel confrontarsi con gli ufficiali, ma soprattutto impegnato a girare in trincea durante i combattimenti, noncurante dei pericoli, per portare quella consolazione che altro non è che la propria vicinanza, per un prete segno della vicinanza di Dio alla vita, al dolore, alla morte di ogni uomo”. “La memoria della guerra – ha aggiunto – fu per lui elemento di forza” da cui ripartire per “un vero cammino di ricostruzione, un nuovo ordine di idee, nel quale cercare di includere tutti, anche coloro che, in guerra, erano stati nemici, ma in realtà parte di una stessa umanità, in quanto fratelli”. Il centro di Argenta diventa così “un piccolo laboratorio di rinnovamento; un esperimento sociale che va dalle cooperative con una larga e attiva presenza di donne, alla promozione dello scoutismo, alla grande cura educativa. Raccogliere e accogliere tutti, soprattutto i giovani, per dare speranza di futuro; un futuro di bene, perché ciò che prima della guerra era ‘utopia’, egli diceva, ora è ‘coscienza’”. L’opera di don Minzoni, ha spiegato mons. Marcianò, “era pericolosa, i fascisti lo avevano capito. La sua educazione era gravida di futuro perché, da prete, non educava come gli altri: tanto per l’incidenza sulle nuove generazioni, che il fascismo voleva a tutti i costi conquistare, quanto per la sua parresìa che parlava al cuore. Anche al cuore di chi lo rifiutava, per convertire il malvagio alla giustizia. È il fascino spirituale della santità, che fa paura perché è segno del Mistero, dell’oltre, di Dio”. Quello di don Minzoni, ha concluso l’Ordinario militare, è “un insegnamento per affrontare, oggi, il lavoro nella vigna del Signore, senza fuggire le responsabilità che provengono dall’impegno sociale a livello nazionale e nel mondo: le sfide della difesa della vita umana in tutte le fasi e condizioni, portata avanti in modo speciale anche dai militari italiani; le politiche di attenzione ai paesi poveri e accoglienza dei migranti che bussano alle porte del mondo; il rispetto della dignità delle donne, troppo spesso vittime di violenza e discriminazione; la ricerca continua e paziente della pace; la protezione dei bambini dai soprusi ma anche dai vuoti educativi, che espongono al totalitarismo delle ideologie e del non senso e bloccano la maturazione delle coscienze. L’esempio e l’intercessione di Giovanni Minzoni ci aiutino davvero a percorrere la strada a noi affidata, nella certezza che ogni difficoltà e ogni tragedia può schiudere nuova vita”. Ad Argenta ieri si è svolto anche un convegno dal tema “La figura del cappellano militare: da don Minzoni ad oggi”, presso il convento dei Cappuccini; la diocesi castrense ha dato il suo contributo con una relazione di don Santo Battaglia.