“Don Puglisi faceva il sacerdote, stava con i ragazzi, capì che per sradicare la mentalità mafiosa doveva condurre una sfida educativa”. Lo ha detto mons. Baldo Reina, vescovo ausiliare di Roma, intervenendo stamani all’Università europea di Roma alla conferenza “Educare alla legalità, ripensare le relazioni tra case, cortili e chiese”, nel 30° anniversario del martirio del beato don Pino Puglisi.
Leggendo le motivazioni della condanna dell’assassino del sacerdote, che tracciano il profilo della sua opera, il vescovo si è soffermato su un passaggio: “Don Puglisi costituiva una spina nel fianco per il potere criminale emergente”. “Un sacerdote che non aveva né armi né potere. Mi sono chiesto perché – ha riferito -. E ho capito che la sfida educativa fosse la scelta vincente. Perché i poteri criminali temono di trovarsi di fronte persone che pensano”. Rivolgendosi agli studenti, li ha incoraggiati ad avere “un pensiero per avere una vita diversa”. “Don Puglisi era convinto che il Vangelo potesse avere un’enorme potenzialità di generare pensiero libero. I mafiosi rimasero colpiti dalle sue omelie raccontate dalle persone del quartiere. Parlava di libertà, di giustizia. Lui era un uomo colto e capì in che modo era possibile in quel contesto innestare il Vangelo”. Quindi, mons. Reina ha sottolineato come “non si riesca a cambiare le strutture delle organizzazioni mafiose, ma il cuore di quelle persone”. “E così l’espressione di don Puglisi è riuscita a cambiare il cuore della persona che lo ha ucciso, autore di 46 omicidi”.