“Presentiamo oggi il XXXII Rapporto immigrazione Caritas-Migrantes in un contesto internazionale molto preoccupante. I recentissimi fatti successi in Israele, i morti da ambo le parti spesso bambini, gli ostaggi, il terrorismo, la reazione armata, la fuga della popolazione, il rischio di estensione del conflitto, ecc. sono sotto i nostri occhi e ci angosciano. Il tutto si aggiunge alla preoccupazione per la guerra in Ucraina e per le tante guerre spesso dimenticate in giro per il mondo”: così monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, presidente di Caritas italiana, ha aperto oggi a Roma la presentazione del XXXII Rapporto curato da Caritas italiana e Migrantes, intitolato “Liberi di scegliere se migrare o restare”. “Oltre che dall’esperienza quotidiana, anche dagli approfondimenti e dai dati riportati in questa edizione del Rapporto, continuano a emergere le criticità dei percorsi di inserimento sociale non solo dei migranti appena arrivati in Italia, ma anche di quelli che vi risiedono e soggiornano da molti anni, soli o insieme alle proprie famiglie”, ha osservato. “La questione non è solo garantire l’incolumità fisica di chi arriva comunque da noi e una prima dignitosa accoglienza, ma favorire un proficuo percorso di integrazione – ha sottolineato -. Troppo spesso i cittadini stranieri che vivono nel nostro Paese sono ancora costretti a un vero e proprio ‘percorso ad ostacoli’ o a subire fenomeni di discriminazione. Questo avviene nell’accesso alle professioni, alla casa, allo studio, alle misure di assistenza sociale, nonché nell’informazione e nella comunicazione. La povertà delle famiglie, il ritardo o l’abbandono scolastico, la scarsa formazione, lavori poco remunerati e in nero (che talvolta diventano sfruttamento lavorativo, abuso, ricatto), l’ormai sempre più ridotta natalità, parlano di una storia, non solo nostra, ma dell’umanità, che rischia di non avere futuro. Eppure sono tante le occasioni che potrebbero essere colte, da un accompagnamento più pragmatico e lungimirante dei percorsi di integrazione sociale dei migranti”. Potremmo avere, ad esempio, “una scuola più inclusiva per i tanti minori stranieri nati in Italia; e quindi giovani più formati e più valorizzati nel mercato del lavoro; famiglie meno povere, con meno bisogni di assistenza e più integrate nel contesto sociale; un più elevato livello di professionalizzazione, un’economia più dinamica, meno spesa sanitaria e, in definitiva, un migliore stile di vita”. E una società “in grado di dare voce e valorizzare anche l’apporto culturale dei migranti, una comunicazione più aperta a recepire le opinioni di chi proviene da altre culture e può fornire altre prospettive. Perché dunque non scommettere su questi obiettivi? Perché non cogliere le potenzialità di una maggiore e migliore integrazione sociale?”