“Il dolore e la rivolta affiorano quando gli occhi sono assaliti da fotografie di bambini Yanomami scheletrici e mezzi morti, che ricordano le immagini del Biafra e dell’Olocausto! Gli esseri umani, scheletri ambulanti, quasi dimenticati dai loro passi. Quelle immagini del passato accusavano la nostra disumanità, l’incapacità di compassione, la perdita della nostra anima. Le immagini di oggi denunciano la segregazione, l’ingiustizia, la lenta morte di un popolo, la perdita della nostra anima”. È il duro atto d’accusa del card. Leonardo Steiner, arcivescovo di Manaus, pubblicato nel giornale “Em Tempo”, e pervenuto al Sir, a proposito della crisi sanitaria e umanitaria che coinvolge il popolo indigeno che vive prevalentemente nello Stato brasiliano di Roraima, a causa delle continue violenze, inquinamento con il mercurio e violazioni territoriali causate soprattutto dai cercatori d’oro e, più in generale, nell’ambito della deforestazione.
Tutto ciò accade “per l’ideologia del mercato, del denaro: l’oro. L’essere umano che ci vive non conta. Viene avvelenato”. Prosegue il porporato: “Gli oltre 500 bambini morti chiedono giustizia! La giustizia può salvare l’anima della nostra umanità dall’indifferenza e dall’aggressione nei confronti di chi viveva qui prima dell’arrivo degli europei”. Con il poeta Milton Nascimento, torna la domanda: “Chi è l’aguzzino che mi ha tradito? Che mi ha contaminato. Che mi ha fatto soffrire”. Le immagini, secondo il cardinale Steiner, “non possono percorrere i sentieri dell’oblio e dell’indifferenza”. “Il dolore è troppo grande perché le autorità e la società brasiliana” dimentichino quanto sta accadendo. “C’è un urgente bisogno di responsabilità! Per quanto tempo è stata denunciata la situazione delle popolazioni indigene, per quanto tempo le popolazioni indigene hanno chiesto a gran voce il diritto di vivere e sono state ignorate dalle autorità e persino dai grandi media! Come se non facessero parte del Brasile, come se non fossero persone, come se non fossero figli e figlie di Dio”. Nell’auspicare rapidi provvedimenti giudiziari e legislativi che impediscano l’appropriazione di territori indigeni, l’articolo conclude: “Vale la pena ricordare che non si tratta di loro o di noi, né di loro e di noi. Noi siamo Yanomami”.