“Non abbiamo bisogno di eroi, ma di credenti umili, che si lascino continuamente plasmare dal Vangelo, fino a essere segno e strumento dell’amore di Dio tra gli uomini, capaci di comprenderne e di accoglierne le vicende, di accompagnarle con la preghiera e con la vicinanza solidale”. Lo ha affermato ieri sera l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Ivan Maffeis, nell’omelia pronunciata in occasione dell’ordinazione sacerdotale di don Claudio Faina nel giorno della memoria liturgica del santo patrono Costanzo, vescovo e martire.
“Ci siamo ritrovati insieme per far memoria delle radici, ringraziare del cammino percorso e attingere nuova linfa per l’oggi della nostra Chiesa e della nostra città”, ha osservato il presule aggiungendo che “a riunirci c’è anche un altro motivo. È la richiesta avanzata da un figlio di questa terra e di questa Chiesa, Claudio Faina”, di essere ordinato sacerdote. Rivolgendosi proprio a lui, l’arcivescovo ha sottolineato che “rispetto a un contesto che proclama che la felicità viene dall’abbondanza di beni materiali, tu, Claudio, ricordi a ciascuno di noi che questi, per quanto importanti, non esauriscono la domanda di vita che ci portiamo nel cuore. Ci testimoni che esiste altro: una verità che illumina il cuore e la mente, un amore per il quale vale la pena d’impegnare la vita. Tutta la vita”. “In questa luce – ha proseguito –, la tua non rimane una rinuncia, come la ritiene il mondo; è, piuttosto, la risposta di chi non si accontenta di surrogati, ma chiede una vita buona, piena, eterna; una vita che hai intuito e trovato nell’incontro con il Signore Gesù”. E dopo aver invitato il novello sacerdote a portare “in mezzo alla nostra gente” uno “sguardo di fiducia” e la “compassione” essendo “segno della presenza del buon Pastore”, mons. Maffeis ha ammonito: “Abbiamo bisogno di preti che vogliano bene alla gente, con generosità e senza alcun altro interesse”. “Non temere e non perderti d’animo davanti alle difficoltà, all’indifferenza, alle critiche, specie se gratuite e ideologiche”, il suggerimento. “Non sentirti mai solo. Sappi riconoscere con gratitudine e non dimenticare mai quanti la vita ti ha posto accanto”, ha continuato, evidenziando che “non è un single, il presbitero; anzi, quando un prete si isola, perde la sua identità: può fare, allora, anche belle cose, ma rischia di legare più a se stesso che al Signore; di preoccuparsi più del consenso, che della verità; di essere servito, più che di servire…”. “Sentiti avvolto e sostenuto dalla preghiera e dall’affetto della Chiesa, dei confratelli, dell’intero popolo di Dio”, ha concluso l’arcivescovo.