“Proprio perché le nostre notti siano abitate dalla luce della sua presenza, Papa Francesco con la Domenica della Parola ha voluto incoraggiarci a una familiarità e ad un amore sempre maggiore per la Bibbia. E dove arriva ‘la buona novella del regno’ c’è anche la cura di ‘ogni sorta di malattie e di infermità’. Dove arriva la fede fiorisce la carità. Perché – sono ancora parole del Papa – ‘la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù… Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento…’ (Francesco, EG 1)”. Così l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Ivan Maffeis, nell’omelia della celebrazione eucaristica che ha presieduto ieri nella cattedrale di Perugia.
Commentando la Parola di Dio proposta dalla liturgia, il presule si è soffermato sul significato del popolo d’Israele “che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce”. “A sorpresa – ha sottolineato l’arcivescovo –, la prima patria su cui rifulge la luce non è la zelante Giudea, ma una terra che è crocevia e crogiolo di lingue, religioni e culture, contesto pluralista e complesso: quella Galilea delle genti nella quale, alla fine del Vangelo, il Risorto tornerà a dare appuntamento ai suoi… La Parola risuona in questa notte, in questa terra semi-pagana che siamo con le nostre ambiguità e contraddizioni: e già questa scelta di campo non contiene forse anche un’indicazione per il nostro essere Chiesa? È una Parola che, anzitutto, chiama a conversione, a riconoscere che c’è Qualcuno in cui riporre fiducia. Cambiare l’orientamento della vita è la porta d’entrata, la premessa e la condizione per capire tutto il resto…”. Soffermandosi poi sul brano del Vangelo della domenica, mons. Maffeis ha parlato di “una Parola che attrae”, perché “raggiunge nella cornice feriale, lambisce la riva di quel lago che, per dei pescatori, è fonte di sostentamento, mentre rappresenta anche minaccia e pericolo a causa della forza incontrollabile dell’acqua e del vento”. Nei fratelli pescatori, Simone e Andrea e Giacomo e Giovanni, traspare la fraternità della stessa Chiesa, ha evidenziato ancora l’arcivescovo dicendo: “La vita cristiana rimane impensabile senza questa dimensione. Fraternità. E che altro dev’essere la Chiesa?”. L’arcivescovo ha proseguito evidenziando che “il seguire le orme del Signore, lo stare con lui non è fine a se stesso: ha come orizzonte il servizio, l’impegno a farsi rete gettata nel mare della storia per non lasciare nessuno in balìa delle onde; rete che aiuta e sostiene i fratelli nel sottrarsi alle acque – alle forze ostili – per respirare a pieni polmoni, per ritrovare quella dignità che il male umilia e calpesta”. Infine, mons. Maffeis ha parlato di “una Parola che costruisce unità e pace, che cerca e si radica in ciò che unisce: una rete lacerata serve a poco, proprio come una Chiesa divisa”, osservando che “Lui non ci appartiene, semmai noi siamo chiamati ad appartenergli; nessuno può appropriarselo, né presumere di definirlo. Lumen gentium è sì il titolo della Costituzione conciliare sulla Chiesa, ma solo per ricordare che la luce delle genti è Gesù Cristo”.