La Chiesa come “minoranza creativa” e come Chiesa “di popolo” – e quindi il pontificato di Benedetto XVI e quello di Francesco – non sono in contraddizione. Lo ha precisato il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nell’introduzione al Consiglio permanente dei vescovi italiani. “Un’intuizione importante, che Benedetto XVI ha proposto all’attenzione della Chiesa, è quella delle minoranze creative”, ha ricordato il cardinale esprimendo “dolore” per la sua recente scomparsa: “ha amato l’Italia come sua seconda patria e la sua Chiesa”. “Anche se minoranza, la Chiesa non può cercare riparo nella chiusura, come se unica via sia estraniarsi dal mondo e la distanza garantisca la salvezza dell’identità”, ha spiegato Zuppi: “Non vogliamo nemmeno accettare svogliatamente di essere minoranza, in fondo con la paura di prenderci responsabilità e di essere creativi. Lo diventiamo se uniti e se pieni di Spirito, docili a questo anche per non finire catturati dalle preoccupazioni interne”. “La minoranza non è solo l’espressione di una progressiva riduzione, ma esprime una volontà autentica di vivere il Vangelo, capace di energie di bene, che si riversano sulla società intera che è sempre il suo orizzonte”, la tesi di Zuppi: “Del resto la nostra è una società di minoranze, di frammenti, se non di tante isole, le solitudini dell’io. E guai quando questo avviene anche nelle nostre comunità!”. “La Chiesa deve ritessere il senso comunitario in una società dell’io e dell’estraneità, richiamando a un destino comune”, l’appello del presidente della Cei, secondo il quale “questa visione della minoranza creativa è tutt’altro che contraddittoria con quella di Chiesa di popolo di cui è testimone Francesco. Anch’essa è una realtà nel nostro Paese, come manifesta la pietà popolare. Una Chiesa di popolo è una realtà che non pone confini, ‘dogane’ – disse all’inizio Francesco: una Chiesa di popolo per il popolo della città. Certamente ci interroga la flessione nella partecipazione dei cristiani alla Messa domenicale dopo la pandemia, ma dobbiamo sempre pensare che i nostri confini sono ben più larghi. La Chiesa non finisce sulle sue soglie”.