“La coincidenza con la cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro rende questa esposizione ancora più utile nell’aiutarci a riflettere individualmente e collettivamente, scuotendo coloro che da alcune “stanze dei bottoni” fino alle strade di Castelvetrano ancora fanno finta di non comprendere o ancora peggio di ignorare la gravità dell’indifferenza, delle omissioni, delle complicità dirette e indirette”. E’ la riflessione, giunta al Sir, di don Aldo Buonaiuto, direttore della testata Interris.it, sulla figura del Beato Rosario Livatino e sul significato dell’esposizione della reliquia del magistrato ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. Ad essere offerta alla venerazione dei fedeli è la camicia insanguinata che indossava ‘il giudice ragazzino’ il 21 settembre 1990, giorno della sua uccisione da parte dei sicari di Cosa Nostra. “Livatino – scrive oggi il sacerdote – non è solo un modello per ogni magistrato ma deve essere fonte di ispirazione per tutti coloro che credono in valori assoluti e non negoziabili quali la giustizia, la legalità, la verità e l’onestà. Ancora oggi sono in tanti i “colletti bianchi” che indossano camicie come quella di Livatino apparentemente pulite e prive di ombre ma poi di fatto macchiate di qualunque sporcizia e del sangue degli innocenti. La comunità soffre il dramma del silenzio e della poca attenzione che si attribuisce a un male culturale e sociale radicato in profondità, ossia l’azione indisturbata delle mafie che proseguono i loro malaffari perché sono appoggiate dagli innumerevoli fiancheggiatori cha ne ricavano inconfessabili benefici”. STD (“Sub Tutela Dei”) sono le tre lettere che si ritrovano in tutte le agende del martire Rosario Livatino. “Con quella antichissima sigla – scrive Buonaiuto – nel Medio Evo si invocava divina assistenza nell’adempimento dei pubblici uffici”. Livatino, dunque, “come testimone spirituale e patrono di una fede che diviene prassi di giustizia e che perciò fa del bene al prossimo”. Sempre “sotto la tutela di Dio”.