“La pace non si trova se la strada delle nostre preghiere non incontra la strada delle nostre scelte. La pace è il frutto dell’incontro tra la grazia di Dio che giunge a noi, e le nostre libere scelte. Gli angeli cantano la pace non tanto sul Figlio di Dio venuto nella carne, bensì sulla scelta del Figlio di venire tra noi con il passo dell’umiltà, piuttosto che della potenza”: lo ha ribadito il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, nella Messa (1° gennaio) dedicata alla Solennità di Maria, Santa Madre di Dio e alla Giornata Mondiale della Pace, celebrata nella Città Santa e concelebrata da mons. William Shomali, Vicario Generale del Patriarcato, dal Nunzio apostolico, mons. Adolfo Tito Yllana e da padre Francesco Patton, Custode di Terra Santa. “Sembra utopia – ha detto – in questa nostra terra, in questo mondo che, a dispetto delle dichiarazioni di principio, continua a fare della guerra lo strumento per affermare dominio e potenza. Ogni giorno, infatti, riceviamo notizie di morte, di ingiustizie, di violenza. Ogni giorno, inoltre, ci viene chiesto di prendere una posizione, di richiamare, condannare, denunciare. Ma anche questo, con il tempo, diventa poi un rito sempre meno seguito e ascoltato, proprio perché, appunto, parte di un rituale. In questo contesto così desolante la prima tentazione è di ritirarsi, di smettere di impegnarsi per la pace ma non è questa la fede e la speranza della Chiesa. Noi vogliamo e crediamo nella pace, come dono di Dio. Non è utopia, è piuttosto profezia”. Da qui l’invito a “darsi alle opere della pace”. Tre le opere di pace descritte da Pizzaballa: “La prima opera è un deciso ritorno al Vangelo della pace: letto, meditato, vissuto, tradotto in stili di vita quotidiani e concreti. Il Vangelo della pace è il Vangelo dell’amore, del dono, del perdono, della pazienza. La seconda è un deciso ritorno al mondo, alla realtà così com’è. Se da un lato abbiamo bisogno di coltivare e custodire la vita divina in noi, dall’altro siamo chiamati ad amare il mondo, a rendere presente nella vita del mondo la fede che ci sostiene”. Non è semplice, ammette il Patriarca Latino, perché “Siamo tentati, spesso, di rassegnarci a questo tempo violento, alle ingiustizie. Ci sentiamo impotenti, schiacciati da situazioni che in tante parti del mondo sembrano troppo grandi per noi e senza via di uscita. Penso, in particolare, alla nostra Terra Santa, dove il conflitto entra quotidianamente dentro la vita di ogni casa, di ogni famiglia, di ogni persona e lascia ferite non facilmente rimarginabili. Rende la vita quotidiana un continuo faticoso sforzo, lasciando nel cuore di troppe persone sentimenti di umiliazione, che a loro volta generano sempre più rancore. Penso ai nostri giovani, spesso demotivati per le tante attese frustrate, tentati dal sogno di una vita migliore altrove. Penso alla vita politica di questi nostri Paesi, sempre più distante dalla vita reale delle nostre popolazioni, incapace di esprimere chiare visioni e prospettive ai propri cittadini”. Il Natale, ha ricordato Pizzaballa, “ci deve portare a pensare diversamente. Il Principe della Pace non ha amato un mondo astratto, non si è incarnato in un contesto ideale o idealizzato, non ha atteso un tempo favorevole, ma ha reso santo il mondo e favorevole il tempo con la sua venuta. Questo è vero anche per noi: la nostra azione, illuminata dalla nostra fede, può rendere santa e degna ogni cosa, anche nelle realtà più ferite e lacerate dal conflitto. La vita in Terra Santa sarà santa e degna non quando i tempi saranno cambiati, ma quando noi decideremo di renderla tale. Saranno il nostro amore, il nostro impegno, la nostra passione a rendere la vita bella e degna. La nostra fede deve portarci a questo, a trasformare la nostra vita, qui e ora. Anche se non cambia la realtà, cambia però il modo con il quale la affrontiamo”. La terza opera della pace “è un serio ritorno a se stessi. Le scelte nascono dal cuore dell’uomo: forse dovremmo tutti riconciliarci con noi stessi, con le nostre attese, con le nostre illusioni che rischiano spesso di trasformarsi in delusioni. Dovremo forse imparare, con il tempo, a purificare le nostre attese, spesso inquinate dal nostro orgoglio. L’unità, che tanto desideriamo nella nostra società, ha bisogno anche del nostro cuore unito e riconciliato”. “Per i credenti in Cristo, per la Chiesa, progettare la pace richiede non di fuggire il tempo e la terra, o di abitarli con rabbia, rancore o rassegnazione, ma di amarli, servendoli, anche ammonendoli, ma comunque assumendoli con amore e pazienza e immettendo in loro il seme della pace. Progettare la pace è, in fondo, stare al mondo con lo stile di Gesù”.