Processo in Vaticano: Diddi, “dalla Segreteria di Stato operazioni altamente speculative”, “reati di peculato e abuso d’ufficio”

“Le norme del Codice di diritto canonico non consentivano di svolgere le operazioni svolte dalla Segreteria di Stato e finite in questo processo”. Lo ha sostenuto il promotore di giustizia vaticano, Alessandro Diddi, nella sua requisitoria durante il processo in corso in Vaticano per gli investimenti finanziari della Segreteria di Stato a Londra. “Lo Ior non avrebbe potuto erogare il prestito di 150 milioni di euro” per l’acquisto del Palazzo di Londra, ha proseguito il pm, secondo quanto ha riferito il “pool” di giornalisti ammessi nell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani: “C’è stato un cortocircuito del sistema, segnalato proprio dal direttore generale Mammì, che negando il finanziamento allo Ior ha spiegato: ‘non possiamo svolgere queste operazioni’”. “I beni temporali della Chiesa vanno gestiti secondo i fini propri della Chiesa”, ha ricordato Diddi, secondo il quale “c’è stata grave violazione commessa dalla Segreteria di Stato nella gestione dei fondi, perché i fini della Chiesa non sono certo le operazioni speculative ma la promozione del culto divino, il sostentamento del clero e le opere di carità, in particolare al servizio dei poveri. I beni ecclesiastici sono tutti regolati dai canoni del Codice e gran parte questi fondi sono provenienti dalle offerte fedeli. Su questo c’è stata grande confusione”. “Non c’è un fedele al mondo che versando un’offerta abbia potuto pensare che un suo euro fosse utilizzato per operazioni speculative”, ha affermato Diddi, definendo quelle della Segreteria di Stato, oggetto del processo, “operazioni altamente speculative: non lo dico io, ma anche i consulenti della Segreteria di Stato, che hanno dovuto ammetterlo. E questo costituisce una violazione delle norme del Codice di Diritto canonico e della Pastor Bnus, che parla proprio di operazioni che non devono derivare da arricchimento da redditi. Nonostante questo, alcuni imputati in questo processo hanno detto che si poteva e si doveva fare”. Fino arrivo di Peña Parra, a detta di Diddi, c’è stata “una totale barriera della Segreteria di Stato nei confronti dei controlli: c’era una difesa ad oltranza dell’idea che alla Segreteria per l’Economia non si dovesse dire nulla. In questa gestione della Segreteria di Stato si sono configurati il reato di peculato e di abuso ufficio. Ci sono tantissimi vantaggi per le persone: questa gestione dato luogo al vantaggio per altri”. A riprova di ciò, il promotore di giustizia vaticano ha citato una frase di mons. Perlasca: “Noi non volevamo controlli, perché questo aveva permesso di svolgere i nostri affari personali”. La requisitoria di Diddi, andata avanti fino ad oltre le 20, proseguirà nell’udienza di domani.

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