“Il suicidio è sempre una tragedia; dietro questo gesto c’è un dolore insopportabile, uno stato di grande sovvertimento, ma quando tocca una fascia di età così giovane, dove tutto dovrebbe esserci tranne l’ombra di un evento così drammatico, lascia senza parole perché tocca le parti più profonde della coscienza collettiva”. Maurizio Pompili, docente di psichiatria all’Università Sapienza di Roma e direttore del Servizio per la prevenzione del suicidio dell’Azienda ospedaliero-universitaria Sant’Andrea di Roma, commenta al Sir la morte di Alessandro, 13 anni, precipitato dal balcone di casa giovedì scorso a Gragnano. Le indagini sono ancora in corso, ma per i Pm della Procura di Torre Annunziata e per quelli per i minorenni di Napoli, è molto verosimile che non si tratti di un incidente ma di suicidio indotto da un gruppetto di sei ragazzi ai quali viene contestato il reato di istigazione al suicidio. Alessandro era infatti vittima di bullismo, di crudeli messaggi sui social.
È possibile che sia riuscito a nascondere ai genitori la propria sofferenza, che nessuno se ne sia accorto? “E’ l’interrogativo che a posteriori ci poniamo tutti – risponde lo psichiatra -. Forse alcuni segnali premonitori potevano essere identificati, ma è facile dirlo con il senno di poi”. Quello che manca, secondo l’esperto, è una rete di prevenzione supportata da una capillare attività di formazione/sensibilizzazione per mettere tutti in grado di riconoscere campanelli d’allarme che altrimenti vengono considerati semplici variazioni dell’umore”. Un primo segnale positivo è l’approvazione da parte della Camera dei deputati, lo scorso 14 giugno, di una mozione che impegna il governo a prevenire il suicidio citando il Servizio del Sant’Andrea diretto da Pompili come unico riferimento nazionale in un ospedale pubblico.
Messaggi di insulti e istigazione al suicidio su WhatsApp: come ragazzi così giovani (quattro sono minorenni) possono essere così crudeli? “Le nuove tecnologie e gli smartphone sono stati messi in mano ai giovanissimi all’improvviso, senza un’adeguata preparazione, senza ‘istruzioni per l’uso’. Così vengono ‘catturati’ del cyberspace, dove tutto viene enfatizzato a dismisura, e portano in tasca una bomba senza essere consapevoli delle conseguenze distruttive della sua deflagrazione. Questo episodio non è il primo e probabilmente non sarà l’ultimo. Anche qui serve una riflessione”. Infine la disperata solitudine della giovanissima vittima: per l’esperto è “fondamentale avviare nelle scuole campagne di prevenzione del suicidio, ma anche per incoraggiare e convincere le vittime di bullismo e cyberbullismo a chiedere aiuto senza vergognarsi. Immagino la sofferenza estrema di questo ragazzo. Non conosciamo ancora tutti i dettagli della vicenda, ma probabilmente Alessandro non è riuscito chiedere aiuto per il timore di essere giudicato. Se lo avesse fatto, forse si sarebbe salvato”.