“Ci hanno insegnato che solo attraverso la relazione con l’altro acquisiamo la possibilità di conoscere noi stessi. Anzi a voler andare oltre, esistiamo solo in relazione con gli altri. I nostri giovani vengono da due anni di negazione e privazione. Ma il Covid è solo il fattore scatenante di una difficoltà relazionale che già era presente e forte nel mondo giovanile”. Lo ha affermato Luciano Squillaci, presidente della Fict, intervenendo questa mattina all’evento “Aprire Orizzonti 2022” di Casa Emmaus, a Iglesias.
“Assistiamo ad una vera e propria progressiva negazione del livello relazionale, molto spesso originato dalla proiezione delle paure degli adulti. Voglio focalizzare l’attenzione su due paradossi: il primo che potremmo definire “individualismo di ritorno”, ha proseguito Squillaci, rilevando che “la prima estate del Covid le immagini dei tg mostravano giovani ed adolescenti nei locali, nelle piazze, fortemente alterati, oggi diremmo bevuti e strafatti, creando ‘lo stigma della socialità ritrovata’: giovani persi nelle discoteche e nella movida, incapaci di percepire il pericolo del contagio, incuranti delle conseguenze”. “Mi sono chiesto – ha rivelato il presidente della Fict – se davvero il problema principale che ci deve preoccupare è il rischio del contagio da Covid. Mentre, nel frattempo aumentano le risse, le morti per incidenti stradali dopo notti brave, l’abuso di sostanze legali ed illegali tra i giovani. Eppure, solo un anno fa, tutto questo ci sembrava ‘normale’”. “Ed è sui rischi educativi di questa ‘normalizzazione dell’eccesso’ che dovremmo riflettere”, ha ammonito. “Chi di noi può sentirsi assolto se, fino a ieri, non solo abbiamo giustificato ogni atteggiamento dei nostri figli, ma di più gli abbiamo costruito intorno un mondo di cartone, indicandogli il ‘tutto e subito’ come principale stile di vita? Li vedo lì, adolescenti che fino a due anni fa compravano le figurine, con i cocktail in mano, impasticcati, allucinati, completamente andati. E li vedo soli, in mezzo a migliaia di persone”. “In questo mare di vite a perdere – ha continuato –, non può essere solo il Covid a preoccuparci. Insomma, è come scaricare sui nostri giovani non solo i paradossi e le fragilità di questo nostro tempo, ma addirittura dargliene la responsabilità”. Squillaci ha parlato di “relazioni negate. Negate non dal Covid o dal lockdown, che evidentemente ha fatto esplodere un male di vivere, ma dalla chiusura del mondo degli adulti, dalla frammentazione dei legami fiduciari che sono alla base del vivere comunitario”. “Facciamo crescere i nostri figli all’interno di campane di vetro più o meno lussuose”, ha denunciato, aggiungendo che “la questione della comunità educante, non è una metodologia di lavoro e non è neanche una strategia operativa, è un ‘diritto’ dei ragazzi, sancito dalla nostra Costituzione e dai trattati internazionali della Convenzione dei Diritti del fanciullo del 1989”. Per Squillaci “è fondamentale lavorare sulle aspirazioni dei ragazzi, sui loro sogni e soprattutto sulle progettualità. Se noi non abbiamo un orizzonte, non possiamo educare, perché per farlo è necessario avere una prospettiva futura, quella della speranza”.