“Era il 3 settembre di quarant’anni fa, quando il nostro Paese si fermò, colpito e attonito, e, in molti cuori, sembrò insediarsi la paura che la legge fosse davvero superata, sconfitta per sempre per mano di coloro che vogliono negarla e rinnegarla. Tuttavia non fu così; la legge non era sconfitta anche se, in modo diverso, era superata. Un superamento proprio della seconda categoria di persone, alle quali appartiene il generale Dalla Chiesa. Un uomo di Stato. Un uomo di legge. Un uomo che, per rendere il suo servizio alla legge e allo Stato, non ha esitato a compromettere la sua stessa vita, fin dall’inizio e fino alla fine”. Sono queste le parole di mons. Santo Marcianò, ordinario militare per l’Italia (Omi), nell’omelia della messa celebrata stamattina nella cattedrale di Parma per il 40° anniversario dell’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo. “Ci sono uomini di legge che superano la legge proprio perché, in senso letterale, la amano; e la amano al punto da riservarle cura, attenzione, dedizione… da dare la vita per essa; la amano al punto da non guardarla come lettera morta, da non asfissiarla in una prospettiva legalistica, ma al punto da dilatarla, facendone uno strumento d’amore”, ha proseguito mons. Marcianò che, prendendo spunto dal Vangelo, ha sottolineato come per applicare e far vivere le leggi, occorrano veri uomini di legge, uomini disposti ad amarla fino al punto di vivere e morire per essa, intravedendone e indicandone il senso profondo. “È sorprendente pensare come, nei suoi cento giorni a Palermo, il generale Dalla Chiesa sia stato in mezzo alla gente – a studenti, insegnanti, lavoratori – più che nei salotti dei benestanti e dei potenti: forse per evitare contatti sospetti di possibili collusioni o forse per trasmettere ai giovani quell’amore alla legge e al suo lavoro che, pur nella fatica di una lunga esperienza, lo vedeva sempre pronto a ripartire con giovanile entusiasmo in ogni servizio. E il suo è stato un autentico ‘servizio’ che, come dice San Paolo nella prima Lettura (1Cor 4,6b-15), non lo ‘gonfiava d’orgoglio’ ma nel quale egli intravedeva un ‘privilegio ricevuto’”. L’ordinario militare ha fatto notare l’intelligenza con cui Dalla Chiesa seppe svelare alcuni meccanismi propri del terrorismo e della mafia, come ad esempio le trame delle parentele e dei comparati o alle connessioni con la politica e l’economia. “Cari amici, in questa Eucaristia ringraziamo insieme Dio perché, nel clima di terrore e morte, di illegalità e corruzione, di guerra e disprezzo della vita, che caratterizza il nostro tempo come il tempo del generale Dalla Chiesa, ci sono uomini e donne, come lui, più grandi della legge perché sanno scrutare in essa un mistero ancora più alto, che rimanda a Dio, al cui ordine ogni legge deve ispirarsi per coniugare giustizia e amore, verità e tenerezza. Una tenerezza che Carlo Alberto Dalla Chiesa – la figlia Simona lo ha testimoniato – ha saputo apprendere da Maria, l’amata Virgo Fidelis dei Carabinieri, e ha saputo tradurre nella sua vita privata e nel suo servizio all’uomo, certo che ogni uomo, pur se criminale, valesse la sua professionalità e dedizione, il servizio alla legge e il dono della sua vita”.