(da Matera) “Com’è triste anche oggi questa realtà, quando confondiamo quello che siamo con quello che abbiamo, quando giudichiamo le persone dalla ricchezza che hanno, dai titoli che esibiscono, dai ruoli che ricoprono o dalla marca del vestito che indossano”. Lo ha esclamato il Papa, nell’omelia dallo stadio di Matera, dove ha concelebrato con 80 vescovi la messa conclusiva del Congresso eucaristico nazionale. “È la religione dell’avere e dell’apparire, che spesso domina la scena di questo mondo, ma alla fine ci lascia a mani vuote, sempre”, il monito di Francesco: “A questo ricco del Vangelo, infatti, non è rimasto neanche il nome. Non è più nessuno. Al contrario, il povero ha un nome, Lazzaro, che significa ‘Dio aiuta’. Pur nella sua condizione di povertà e di emarginazione, egli può conservare integra la sua dignità perché vive nella relazione con Dio. Nel suo stesso nome c’è qualcosa di Dio e Dio è la speranza incrollabile della sua vita”. “Adorare Dio e non sé stessi”: è questa, per il Papa, “la sfida permanente che l’Eucaristia offre alla nostra vita”: “Mettere lui al centro e non la vanità del proprio io. Ricordarci che solo il Signore è Dio e tutto il resto è dono del suo amore. Perché se adoriamo noi stessi, moriamo nell’asfissia del nostro piccolo io; se adoriamo le ricchezze di questo mondo, esse si impossessano di noi e ci rendono schiavi; se adoriamo il dio dell’apparenza e ci inebriamo nello spreco, prima o dopo la vita stessa ci chiederà il conto. Sempre la vita ci chiede il conto”.