(da Matera) “Le nostre comunità organizzano cene per i poveri ma, spesso, si è perduta la capacità di accogliere un ospite alla mensa di casa”. A denunciarlo è stato mons. Gianmarco Busca, vescovo di Mantova, nella prima meditazione del Congresso eucaristico nazionale, dalla cattedrale di Matera. “La tavola di casa, soprattutto un tempo, era una tavolata grande e oltre ai posti fissi dei familiari riservava posto anche per accogliere ospiti, spesso sconosciuti”, ha fatto notare il vescovo, che ha stigmatizzato le “solitudini” che popolano le nostre comunità: “anziani rimasti soli e privati dell’esperienza della convivialità, persone in lutto e afflitte per la perdita del commensale di una vita, stranieri separati dalla famiglia”. “Condividere con questi fratelli il pranzo offrirebbe loro istanti di consolazione”, la tesi del vescovo, secondo il quale “spesso il cammino più lungo da fare è quello per arrivare alla gente di casa nostra. Non è per nulla scontato che le tavole delle nostre case oggi siano esperienza di ospitalità, accoglienza, dialogo, scambio”. “Oggi c’è abbondanza di cibo, ma poca tavola”, l’analisi del presule: “Eppure si creano dei riti tristi intono a cibi che alla fine non saziano e disgustano. Ha un gusto amaro essere seduti allo stesso tavolo e percepire l’assenza dell’altro, che fisicamente è lì, ma con la testa e gli interessi è da un’altra parte, perché lo sguardo è catturato dalla TV o dal cellulare. I sensi ammutoliscono: si spegne lo scambio delle parole, manca il ‘faccia a faccia'”. Senza contare i cibi pronti, il fast food, i ristoranti “all you can eat”, che cambiano il nostro rapporto con il cibo. “Ci si può chiedere se queste pratiche siano dei riti felici del cibo oppure alla fine non saziano”, il commento di Busca: “Dobbiamo recuperare il gusto della convivialità, che rende felici. L’uomo di oggi ha bisogno reimparare a mangiare pe reimparare a celebrare, ma anche bisogno di reimparare a celebrare per imparare a mangiare. L’ABC del cristianesimo è una educazione sapienziale all’arte di vivere laddove la vita della gente è spesso insipida, incolore, insapore”.