“Questa terra si chiama Armenia e qualsiasi aggressione è contro l’umanità, contro la giustizia, contro la coscienza umana. Lo dico con un cuore sofferente. Siamo stanchi di portare questa Croce per così tanto tempo di ingiustizia umana”. A parlare della crisi che si è purtroppo di nuovo accesa in Nagorno-Karabakh è Sua Beatitudine Raphaël Bedros XXI Minassian, Patriarca dei cattolici armeni. Si trova nella sua sede patriarcale a Beirut ma martedì – dice – partirà per l’Armenia per verificare sul campo la situazione in quanto ha mantenuto la carica di presidente di Caritas Armenia. E’ di nuovo alta la tensione nella regione. Nella notte tra lunedì e martedì nuovi scontri armati si sono verificati nel Nagorno-Karabakh, territorio nel sud del Caucaso conteso dal 1991 da Armenia e Azerbaigian. È la prima ripresa delle ostilità dal novembre del 2020. “Avevamo appena chiuso due anni quella pagina nera con migliaia di ragazzi morti che abbiamo seppellito sotto terra – racconta Minassian – ed oggi si contano ancora centinaia di morti, distruzione e migliaia di profughi. Ma nessuno ne parla. Nessuna potenza mondiale che stia dicendo: andate indietro, non avete diritto di fare questo”. Armenia e Azerbaigian continuano ad accusarsi reciprocamente di bombardamenti sui rispettivi territori. Un centinaio di soldati armeni sono rimasti uccisi. Per fortuna, gli scontri a fuoco lungo il confine tra Armenia e Azerbaigian sono quasi cessati del tutto nelle ultime ore ma circa 2.750 civili sono stati evacuati dalla zona di frontiera armena a causa dei bombardamenti nelle regioni armene di Gegharkunik e Syunik. La maggioranza sono donne, bambini e anziani. Il Patriarca conferma: “dalla mezzanotte del giorno in cui sono iniziati i bombardamenti – dice – sono sveglio e sto dirigendo da qui gli aiuti e le necessità della popolazione colpita dalle bombe. Siamo stati i primi sul campo ad accogliere le persone evacuate. Abbiamo aperto subito le porte del nostro ufficio Caritas a Goris. Molti hanno le case distrutte. Ho detto ai miei di mettere tutte le riserve che abbiamo, a disposizione degli aiuti”. Intanto, dopo le accuse reciproche, l’Armenia ha presentato domanda all’Organizzazione del trattato di sicurezza collettivo (Csto), di cui fa parte, per ripristinare l’integrità territoriale del paese e garantire il ritiro dell’esercito azero mentre il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha annunciato che una delegazione della stessa Organizzazione, guidata da Mosca, visiterà la regione di frontiera. Il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ed il presidente azero, Ilham Aliyev, hanno inoltre confermato la loro presenza da domani a Samarcanda, in Uzbekistan. Riguardo a questi movimenti politici regionali, mons. Minassian dice: “L’unica cosa di cui sono convinto è che nessuna nazione e potenza mondiale ha interesse per il popolo armeno. Oggi tutti stanno dicendo di essere preoccupati ma è essenziale trovare una soluzione ed è essenziale anche fare una pressione politica internazionale per fermare chi con la sua potenza militare sta uccidendo innocenti per un pezzo di terra che non gli appartiene. Che ingiustizia! Non c’è nessuna forza del mondo che oggi dica: Basta! Fermatevi! Da una parte quindi c’è un disinteresse politico internazionale ma dall’altra quella terra fa gola per il gas e il petrolio, per ricchezze che sono proprietà della terra e quindi di tutta l’umanità”. Minassian fa sapere che ieri, a Beirut, i rappresentanti della diaspora, i due patriarchi, armeno apostolico e armeno cattolico, con tutte le organizzazioni politiche, sociali e umanitarie, si sono riuniti per studiare la situazione e capire quello che si può fare. “Che il mondo sappia che gli armeni dell’Armenia non sono soli”.