“Nella storia di questa terra non sono mancati altri morsi dolorosi: penso ai serpenti brucianti della violenza, della persecuzione ateista, a un cammino a volte travagliato durante il quale è stata minacciata la libertà del popolo e ferita la sua dignità”. Lo ha detto il Papa, che nell’omelia della Messa presieduta all’Expo Grounds di Nur-Sultan, sulla scorta delle letture, si è soffermato su due figure: “i serpenti che mordono e il serpente che salva”. “Quante volte, sfiduciati e insofferenti, ci siamo inariditi nei nostri deserti, perdendo di vista la meta del cammino!”, ha esclamato Francesco: “Anche in questo grande Paese c’è il deserto che, mentre offre uno splendido paesaggio, ci parla di quella fatica, di quella aridità che a volte portiamo nel cuore. Sono i momenti di stanchezza e di prova, nei quali non abbiamo più le forze per guardare in alto, verso Dio; sono le situazioni di vita personale, ecclesiale e sociale in cui siamo morsi dal serpente della sfiducia, che inietta in noi i veleni della disillusione e dello sconforto, del pessimismo e della rassegnazione, chiudendoci nel nostro io, spegnendo l’entusiasmo”. “Ci fa bene custodire il ricordo di quanto sofferto”, la tesi del Papa: “non bisogna ritagliare dalla memoria certe oscurità, altrimenti si può credere che siano acqua passata e che il cammino del bene sia delineato per sempre”. “No, la pace non è mai guadagnata una volta per tutte, va conquistata ogni giorno, così come la convivenza tra etnie e tradizioni religiose diverse, lo sviluppo integrale, la giustizia sociale”, il monito di Francesco: “E perché il Kazakhstan cresca ancora di più nella fraternità, nel dialogo e nella comprensione per gettare ponti di solidale cooperazione con gli altri popoli, nazioni e culture, c’è bisogno dell’impegno di tutti. Prima ancora, c’è bisogno di un rinnovato atto di fede verso il Signore: di guardare in alto, di guardare a Lui, di imparare dal suo amore universale e crocifisso”.