“La vita è sacra, sempre. Eppure alcuni devono morire perché leggi, sentenze, altre persone hanno deciso che così deve essere”. Così Massimiliano Menichetti, in un editoriale su Vatican news, commenta la vicenda di Archie Battersbee, il bambino di 12 anni in coma dal 7 aprile a Londra, a cui i medici vogliono togliere il supporto vitale, senza ascoltare la mamma Hollie e il papà Paul, che vogliono tentare ogni mezzo per salvare la vita del proprio figlio. “Per i medici del London Royal Hospital, dove il piccolo è ricoverato, non c’è più nulla da fare: si tratta di morte cerebrale e la condizione è irreversibile, quindi vanno sospesi tutti i trattamenti che tengono in vita il bambino”, si ricorda nell’articolo: “Hollie continua a ribadire che dei medici di altre nazioni, tra cui l’Italia, sono disponibili a tentare di salvare la vita di Archie. Quattro mesi di battaglie legali, ricorsi interni ed esterni, arrivati fin nelle sedi europee e delle Nazioni Unite, ma tutte le porte sono rimaste chiuse finora, nulla ha arrestato lo spettro della morte. Alle 11 di ieri, le 10 in Italia si sarebbe dovuto fermare il supporto vitale”. “Archie non è una foglia secca, è un bambino in carne ed ossa, come lo erano Charlie Gard, Alfie Evans e lo è Tafida Raqeeb, curata in Italia dopo il braccio di ferro con le autorità sanitarie londinesi”, obietta Menichetti: “Curare non significa esclusivamente guarire, ma farsi carico: di chi sta soffrendo, di chi è debole, di chi è fragile. Questo costa molto di più, in termini economici e d’investimenti, rispetto a staccare le macchine che tengono in vita una persona, ma è lo specchio di una società che si riconosce creatura e quindi protegge e aiuta l’uomo o di una società autoreferenziale, che avendo tagliato ogni nesso, sfrutta, distrugge e divora”.