“Ci vuole la capacità di unire la dimensione della festa e quella della preghiera e dell’ascolto, nel caso specifico della pietà popolare, ma anche di altri momenti religiosi di raduno. È più semplice ripiegare solamente sull’uno o sull’altro aspetto, ma con l’effetto di non colpire il bersaglio che la pratica religiosa o la pietà popolare è chiamata a raggiungere, e cioè sperimentare un momento di reale e intensa condivisione del senso della vita interpretato da una manifestazione religiosa e nello stesso pervenire alla percezione di un annuncio più alto e profondo insieme, capace di raggiungere quel senso in maniera più precisa e acuta, come solo il Vangelo sa fare”. Lo ha evidenziato, oggi pomeriggio, mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina-Terracina-Sezze-Priverno, intervenendo all’incontro dei vescovi delle “Aree interne”, in corso a Benevento. Da questo punto di vista, ha aggiunto, “una delle eredità più pesanti che ci portiamo addosso riguarda il sovraccarico dell’aspetto dottrinale e lo spazio che esso assume rispetto ad altre dimensioni dell’esperienza religiosa e della predicazione ecclesiastica. Si tratta di una eredità che si manifesta nella riduzione verbalistica dell’annuncio e dell’evangelizzazione. Sappiamo fare quasi solo discorsi e prediche, quando ci riesce. In realtà la fede è cosa della mente e del cuore insieme, e i sentimenti non sono marginali o irrilevanti nell’abbracciare la fede e nel fare qualsiasi scelta di vita. La fede nasce dall’esperienza di una affezione verso qualcosa, o meglio qualcuno, che si presenta con una promessa di compimento e con i tratti di una incondizionata affidabilità”.
Di qui la sollecitazione a “ricuperare, in questo senso, due dimensioni essenziali non solo nell’ambito ecclesiale: la narrazione, cioè racconti di vita cristiana, e il dialogo. Si evangelizza di più e meglio così, che attraverso tante prediche e discorsi. Questo il Papa ce lo ricorda e insegna in tanti modi”.
“Nel costruire una pastorale improntata a uno stile relazionale, di incontro e di accoglienza, non si può trascurare un aspetto che pure caratterizza questo genere specifico di ambienti. Bisogna fare i conti non solo con i pregi, ma anche con i limiti delle aree interne; vivere nei piccoli paesi e nei tanto decantati borghi non è un idillio”, ha ammesso mons. Crociata.
“Come in tutti i piccoli ambienti, è facile scontrarsi con la grettezza di mentalità, con la chiusura e la diffidenza delle persone, con l’attaccamento alle consuetudini e la resistenza al cambiamento. Su questi aspetti la fede è chiamata a mostrare di essere capace di introdurre un soffio di novità e di trasformare (convertire) le persone e la loro vita. L’accompagnamento a scomparire, o anche solo il mantenimento dell’esistente, non può mai essere il proprio dell’azione pastorale della Chiesa; essa deve generare piuttosto nuovi fermenti e nuovi inizi di vita credente e di speranza”.