Frana Monte Bianco: Bonasoni (Cnr-Isac), causata da “crisi climatica globale”

“Le montagne sono definite ‘sentinelle’ in quanto anticipano e riflettono i segnali della crisi climatica globale. Ce ne accorgiamo da quanto avviene nella catena himalayana, soggetta a eventi estremi sempre più frequenti, i cui effetti investono un bacino abitato da centinaia di milioni di persone. E ce ne rendiamo conto con assoluta chiarezza anche da quanto avviene alle nostre latitudini”. Così Paolo Bonasoni, ricercatore Cnr-Isac, commenta la frana di ieri sul Monte Bianco.
“L’ambiente alpino – spiega l’esperto – è soggetto a fenomeni di varia natura: l’area dolomitica, in particolare, è stata colpita questa estate dalla terribile tragedia della Marmolada, che ha provocato numerose vittime. Ma anche le Alpi occidentali sono interessate dai cambiamenti climatici e ambientali, come ricorda la frana che ha travolto un bivacco sul Monte Bianco. Una frana staccatasi nei pressi del Col de la Fourche, a 3.682 metri di quota (massiccio del Monte Bianco) ha distrutto il bivacco Alberico-Borgna, che era posizionato sulla cresta sud-est del Mont Maudit”.
Il Consiglio nazionale delle ricerche “gestisce l’unica stazione di monitoraggio dell’area sul Plateau Rosa, sotto il Monte Cervino. Il fenomeno più significativo registrato dalla strumentazione installata sulla stazione Testa Grigia è quello dei trasporti, a 3500 metri di quota, di Black Carbon, particolato e sabbie sahariane. Il deposito di queste sostanze di origine naturale e antropica sui ghiacciai determina una riduzione dell’albedo, cioè della capacità dei ghiacciai di riflettere l’irraggiamento solare, che viene invece assorbito. E quindi concorre, assieme all’aumento delle temperature, alla riduzione dell’estensione dei ghiacciai stessi. Un evento eclatante che abbiamo monitorato si è verificato il 16 marzo 2022, quando i depositi di sabbia sahariana hanno colorato di rosso tutta la neve (e con una temperatura di 14 gradi poiché con la sabbia arriva aria calda). Mentre a metà luglio abbiamo registrato l’ultimo record di black carbon, altro climalterante, la cui possibile origine è localizzata in Pianura Padana. Ma il dato potrebbe essere anche collegato agli incendi avvenuti in Canada”.
Di qui un monito: “L’atmosfera non ha confini” e “l’attenzione va posta non solo sull’aumento delle temperature e sulle scarsi precipitazioni (sul Plateau Rosa non nevica da aprile) ma anche sugli altri elementi atmosferici”.
“Altro dato preoccupante – conclude – è infine la fusione del permafrost, lo strato di terreno permanentente gelato, che nel 2021 in Val d’Aosta è stata misurata dalla Cabina di regia dei ghiacciai valdostani in ben 6 metri, il 19% più della media. Un fenomeno che incide sul clima, poiché il permafrost fuso rilascia metano, gas climalterante più della Co2, e che concorre al rischio di frane e cedimenti”.

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