Riprendendo uno studio di Matteo Prodi che presenta il contenuto di tre lettere dei vescovi italiani sul Mezzogiorno, pubblicate rispettivamente nel 1948, nel 1989 e nel 2010, mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio e vice presidente della Cei, evidenzia che in tutti e tre i documenti “traspare la convinzione che il Vangelo spinga a misurarsi con la vita concreta delle persone, con le tensioni e le contraddizioni della storia, per cui le situazioni di ingiustizia debbano essere rilevate e denunciate. Si afferma perciò la necessità di un impegno personale e comunitario orientato a riconoscere e a contenere o rimuovere le disuguaglianze che segnano il Paese”. Un altro elemento ricorrente è “la denuncia del mancato sviluppo del Sud e dei mali che colpiscono le regioni meridionali, come la disoccupazione e la criminalità organizzata”.
Particolarmente “rilevanti, e in parte ancora attuali, le analisi contenute nella lettera del 1989”. Pubblicata alla fine del periodo di massimo sviluppo dell’economia e delle politiche di welfare, “essa pone in evidenza i caratteri dello sviluppo del Paese, definendolo incompleto e distorto. Incompleto perché ha lasciato indietro le regioni meridionali”. Distorto, perché “non solo non si è consentito al Mezzogiorno di svilupparsi come altre regioni, creando disuguaglianze interne ed esterne, ma addirittura lo si è incanalato verso strade che ne hanno peggiorata la situazione” , attraverso “l’importazione di modelli di organizzazione industriale che non hanno tenuto conto delle realtà locali e la penetrazione – facilitata dai media – di modelli culturali che hanno avuto effetti disgreganti sul piano sociale ed economico”. La lettera del 2010 parlerà di “sviluppo bloccato”.
“Nei tre testi si propone una idea di sviluppo che non consideri solo gli indicatori economici, ma che metta al centro le persone, le risorse e le vocazioni dei territori”, ricorda il vice presidente della Cei. A questo riguardo, “anticipando alcuni temi che ritroviamo oggi nel magistero di Papa Francesco”, la lettera del 1989 evidenzia la necessità di “ripensare il modello economico, in particolare il mercato, e il modello antropologico di fondo, allontanandosi dall’individualismo, dal soggettivismo e dalla ricerca del godimento immediato. Questi due ripensamenti devono stare insieme: solo una comprensione piena e profonda dell’uomo può aiutare a rinnovare l’economia, mettendo la persona al di sopra del capitale, senza che il profitto e l’accumulo siano gli idoli a cui sacrificare ogni scelta economica” . Per contrastare l’egemonia pervasiva del mercato, “il documento suggerisce prospettive ancora validissime, quando sottolinea la necessità di politiche redistributive efficaci, in grado di affrontare il grave problema della mancanza di lavoro, per esempio mediante l’allestimento di strutture, infrastrutture e servizi in grado di favorire la nascita di realtà produttive locali”.