(da Rimini) “Ho cominciato davvero a perdonare quando si è aperto il processo ai responsabili dell’uccisione di mio marito: è fondamentale sapere che lo Stato mi è vicino, che vuole aiutarmi nel cammino personale e nel dolore e che, come me, chiede verità e giustizia”. Lo ha detto al Meeting di Rimini Gemma Calabresi, vedova del commissario Luigi Calabresi, assassinato da militanti di Lotta Continua 50 anni fa, il 17 maggio 1972. Presentando il suo libro ‘La crepa e la luce’, Gemma Calabresi ha ripercorso i drammi, le domande, le scoperte e gli incontri che l’hanno accompagnata nella grande e difficile scelta di perdonare quelli che non chiama più assassini: “Ho capito che anche un omicida non può essere inchiodato per tutta la vita all’atto commesso. E quando andai nel carcere di Padova alla cerimonia in cui alcuni ergastolani ricevevano i sacramenti, mi resi anche conto che Dio incontra tutti, non solo le vittime come me ma anche i colpevoli. Quel giorno fu per me una liberazione”. La vedova di Calabresi ha raccontato della sua profonda vita di fede: “La fede non è semplicemente la religione: è la vita e il significato della vita”, dell’educazione data ai figli. “Ho sempre insegnato loro a non far cadere le domande che avevano, a non tenersi tutto dentro, a sperimentare che la vita va apprezzata e goduta”, fino all’incontro al Quirinale con la vedova di Giuseppe Pinelli e con Leonardo Marino, il guidatore dell’auto su cui Ovidio Bompressi fuggì dopo avere sparato a Calabresi. “Marino, reo confesso, mi disse che si sentiva un traditore verso i suoi compagni”, ha raccontato Gemma Calabresi. “Gli ho risposto che quando uno dice la verità non tradisce mai”.