(da Rimini) “Non si può eludere l’esperienza del perdono per poter vivere. L’odio, la rabbia cattiva non sono parte della nostra esperienza umana, vi entrano perché noi lasciamo entrare la spada di satana, della menzogna. Occorre perciò domandare la pace, e volerla accogliere nei nostri rapporti. La pace è un dono, e come tale va innanzitutto accolta e riconosciuta. Per il mondo la pace è l’instaurarsi di un certo potere, e di solito è sempre rimandata a un futuro e occorre che qualcuno faccia certi sacrifici, mentre altri no; è quindi sempre una menzogna la pace del mondo”. Lo ha detto mons. Paolo Pezzi, arcivescovo metropolita della Madre di Dio a Mosca, intervenendo oggi al Meeting di Rimini (20-25 agosto), in collegamento video dalla capitale russa. “Tanti fedeli, e indipendentemente dalla loro appartenenza etnica – ha affermato l’arcivescovo –, non vogliono o non riescono a sentir parlare di pace, eppure la desiderano dal più profondo del cuore. Il dono della pace non è, innanzitutto una conquista umana: possiamo sforzarci quanto vogliamo, ma non raggiungeremo la pace dopo un certo passo di un certo cammino”. “Per Gesù – ha spiegato – la pace è una esperienza presente che riverbera la certezza affettiva del rapporto con Lui. Certo, il male è diffuso, dilaga, mentre il bene è ridotto a dei lumicini. Però anche la notte più buia può essere illuminata da misere fiammelle. L’esperienza della riconciliazione, o della comunione, dell’amicizia e del perdono, è come una fiammella di speranza, ed è anche l’unum necessarium che possono portare solo i cristiani nel mondo. Tutti ne hanno bisogno, e anche diritto dice Papa Francesco, ma solo noi possiamo portarlo nei rapporti tra gli uomini”. Riferendosi al titolo dell’incontro – “Artigiani di pace. La passione di conciliare” –, il presule ha ricordato che “essere artigiano di pace significa rispondere al mistero di Dio, che mi ha chiamato in Cristo. Significa costruire la pace, innanzitutto in me medesimo, perché anch’io ho bisogno della pace, della serenità. Non mi stanco di invitare al perdono in famiglia, nella comunità, al lavoro, di ‘vedere’ il positivo, la bontà dell’altro diverso da me, fosse anche il mio nemico, avesse anche una posizione diametralmente opposta alla mia”. Mons. Pezzi ha ricordato, a riguardo, un dialogo sul perdono con una ragazza ucraina, il cui fratello era stato richiamato alle armi: “Alla sua domanda un po’ arrabbiata, giustamente, sul fatto che suo fratello sarebbe dovuto andare a farsi ammazzare, io le risposi che suo fratello doveva certamente imbracciare un fucile e uccidere, o essere ucciso, per difendere la patria, perché la patria è un valore importante, e in certe occasioni può richiedere la vita. Ma senza perdono suo fratello avrebbe portato l’odio con sé tutta la vita, o nella tomba, e non avrebbe potuto contribuire alla ‘conversione’ del suo ‘nemico’ in ‘fratello’. Non si può eludere l’esperienza del perdono per poter vivere”.