Una ricerca svolta in collaborazione tra l’Istituto di scienze dell’alimentazione (Isa) del Consiglio nazionale delle ricerche di Avellino e il Dipartimento di chimica e biologia “A. Zambelli” dell’Università di Salerno, nata da spunti di riflessione emersi a seguito di incontri con il Joint Research Centre della Commissione europea, ha approfondito lo studio della proteina spike della variante Omicron del Sars-CoV-2, con l’obiettivo di comprendere come questa interagisce con il recettore Ace2 – cioè la via di ingresso nelle nostre cellule – e di verificare se gli anticorpi sviluppati dall’organismo umano contro la proteina spike delle precedenti varianti riescono in qualche modo a “riconoscerla”.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Molecules, ha richiesto la realizzazione di una procedura bioinformatica automatizzata con la quale è stato possibile simulare le variazioni degli amminoacidi della proteina spike presenti nella variante Omicron, ottenere modelli dell’interazione della nuova proteina spike con gli anticorpi sulla base di oltre 150 modelli molecolari di complessi spike-anticorpo già noti per le precedenti varianti del virus, e analizzare le caratteristiche dell’interazione, evidenziando come la nuova proteina spike possa essere riconosciuta o meno dagli anticorpi sviluppati contro le vecchie varianti.
“Il lavoro svolto ha dimostrato che molti anticorpi già presenti nel nostro organismo possono riconoscere anche la proteina spike della variante Omicron, sebbene con alcune differenze nelle interazioni molecolari che si possono formare”, spiega Angelo Facchiano (Cnr-Isa), responsabile dello studio assieme ad Anna Marabotti per l’Università di Salerno. “Inoltre, studiando anche il meccanismo d’interazione con il recettore Ace2, abbiamo evidenziato alcune differenze rispetto alla proteina spike delle varianti precedenti, offrendo una possibile interpretazione della maggiore facilità di trasmissione della variante Omicron”.
La procedura bioinformatica messa a punto potrà essere utilizzata per simulare le sostituzioni di amminoacidi presenti in nuove varianti e dare in poco tempo una previsione degli effetti in termini di capacità delle difese immunitarie offerte dagli anticorpi già presenti nel nostro organismo – sviluppati per effetto delle vaccinazioni o di precedenti infezioni – di contrastare una eventuale nuova variante. Interesse in questo senso per la procedura è stato espresso anche dal Joint Research Centre della Commissione europea.