Ieri alla 58ª Sessione di formazione ecumenica del Sae, in corso ad Assisi, i lavori sono stati focalizzati sull’annuncio: in un dialogo con la presidente del Segretariato attività ecumeniche Erica Sfredda la pedagogista Francesca Antonacci ha parlato del rapporto tra annuncio ed educazione. Il tema della speranza, ha premesso Antonacci, è strettamente legato alla realtà dell’educazione: “Speranza è relazione, consente di instaurare una relazione di tipo educativo, è un valore ‘insegnabile’, non permette che ci si accontenti del cattivo presente. Il sogno è un altro mondo, nella sua valenza positiva è un’apertura su un desiderio. Nell’esperienza educativa non si tratta di trasmettere qualcosa, di ‘passare’ delle nozioni, svendere delle informazioni o addirittura manipolare i soggetti per fini personali: sarebbe una cattiva pedagogia. Educazione invece è costruire un’immagine di futuro insieme, è fare insieme dove ci si trasforma entrambe e si genera una sorta di reciprocità”. Antonacci ha citato il pedagogista brasiliano Paulo Freire, sulla cui riflessione si è formata, noto per la “pedagogia della speranza”. Nel suo paese lo studioso ha alfabetizzato migliaia di persone chiedendo di condividere i reciproci saperi e così costruire insieme un sapere. Nel suo approccio educare richiede giocare se stessi, mettersi in campo. Mettersi in gioco genera una reciprocità e nella reciprocità si diventa umani. Questo approccio, ha spiegato Antonacci, è possibile perché a monte ha un’immagine di futuro che determina il presente. “Se noi non abbiamo un sogno, una speranza, non abbiamo altro presente se non quello dell’accettare le cose come sono. Senza immaginazione e sogno continuiamo a proporre e ripetere il presente. Questo non mi fa diventare umano. Se invece opero in una prospettiva di futuro questo mi dice i passi da fare nel presente e insieme agli altri io costruisco il futuro”, ha osservato la pedagogista che ha evocato l’immagine simbolica del ramo di mandorlo intravista dal profeta Geremia (Ger 1,11-12): Dio dice che vigila sulla propria parola per esaudirla. È un’immagine che trasforma il presente. Importanti, nella via delineata dalla pedagogista, sono “la strada dell’ascolto, l’utilizzo di linguaggi altri, come quello artistico, e la creazione di spazi e situazioni inedite per fare emergere stati emotivi favorevoli alla relazione dialogica”.