“Oltre che figli di una storia da custodire siamo artigiani di una storia da costruire”. Ne è convinto il Papa, che nell’omelia della Messa presieduta al Commonwealth Stadium di Edmonton ha affermato che “ciascuno può riconoscere di essere quel che è, con le sue luci e le sue ombre, a seconda dell’amore che ha ricevuto o che gli è mancato. Il mistero della vita umana è questo: siamo tutti figli di qualcuno, generati e plasmati da qualcuno, ma diventando adulti siamo anche chiamati a essere generativi, padri, madri e nonni di qualcun altro”. “Guardando alla persona che siamo oggi, che cosa vogliamo fare di noi stessi?”, ha chiesto il Papa alla folla presente: “I nonni da cui proveniamo, gli anziani che hanno sognato, sperato e si sono sacrificati per noi, ci rivolgono un interrogativo fondamentale: che società volete costruire? Abbiamo ricevuto tanto dalle mani di chi ci ha preceduto: che cosa vogliamo lasciare in eredità ai nostri posteri? Una fede viva o all’acqua di rose, una società fondata sul profitto dei singoli o sulla fraternità, un mondo in pace o in guerra, un creato devastato o una casa ancora accogliente?”. “Non dimentichiamo che questo movimento che dà vita va dalle radici ai rami, alle foglie, ai fiori, ai frutti dell’albero”, il monito di Francesco, secondo il quale “la vera tradizione si esprime in questa dimensione verticale: dal basso verso l’alto”. Di qui la necessità di “non cadere nella caricatura della tradizione, che non si muove in una linea verticale – dalle radici ai frutti – ma in una linea orizzontale – avanti/indietro – che ci porta alla cultura dell’indietrismo come rifugio egoistico; e che non fa altro che incasellare il presente e conservarlo nella logica del si è sempre fatto così”.