“Nulla può cancellare la dignità violata, il male subìto, la fiducia tradita. E nemmeno la vergogna di noi credenti deve mai cancellarsi. Ma occorre ripartire e Gesù non ci propone parole e buoni propositi, ma la croce, quell’amore scandaloso che si lascia infilzare i piedi e i polsi dai chiodi e trafiggere la testa di spine”. Lo ha detto il Papa, che incontrando ieri ad Edmonton le popolazioni indigene e la comunità parrocchiale della Chiesa del Sacro Cuore ha citato ancora una volta le “ferite tanto dolorose” causate ai nativi dalla politica di assimilazione e ha indicato la direzione da seguire per la riconciliazione: “Guardare insieme Cristo, l’amore tradito e crocifisso per noi; guardare Gesù, crocifisso in tanti alunni delle scuole residenziali”. “Se vogliamo riconciliarci tra di noi e dentro di noi, riconciliarci con il passato, con i torti subiti e la memoria ferita, con vicende traumatiche che nessuna consolazione umana può risanare, lo sguardo va alzato a Gesù crocifisso, la pace va attinta al suo altare”, il monito di Francesco: “Perché è proprio sull’albero della croce che il dolore si trasforma in amore, la morte in vita, la delusione in speranza, l’abbandono in comunione, la distanza in unità. La riconciliazione non è tanto un’opera nostra, è un dono che sgorga dal Crocifisso, è pace che viene dal Cuore di Gesù, è una grazia che va chiesta”.