I lavori della 58ª Sessione di formazione promossa dal Sae, alla Domus Pacis di Assisi, sul tema “In tempi oscuri, osare la speranza. Le parole della fede nel succedersi delle generazioni”, sono entrati nel vivo con le relazioni della pastora battista Lidia Maggi, che si occupa anche di formazione e dialogo ecumenico, e del padre domenicano Claudio Monge, responsabile del Centro domenicano per il dialogo interreligioso e culturale di Istanbul. Al centro il tema dell’annuncio di Dio in rapporto alla vita con Dio in questo tempo di crisi globale.
La pastora ha offerto come chiave di lettura la storia della vocazione di Mosè. Chiamata che avviene in terra di esilio, “una terra arida, tenebrosa, un giardino trasformato in deserto che è terra sacra. Da qui dobbiamo partire, da questa postura che non dà spazio al lamento ma si mette in ascolto di una parola di Dio che ci raggiunge proprio là dove pensavamo fosse stata resa muta”.
“Togliti i calzari, questo è un luogo sacro”. Da questa affermazione, ha continuato Maggi, “Dio ci strappa dalla rassegnazione e dal lamento per farci guardare con i suoi stessi occhi un tempo in cui la comunicazione tra le generazioni sembra interrotta, un tempo di deserto e smarrimento. Proprio per un tempo come questo il Signore ci chiama e ci interpella con la sua Parola. Forse siamo proprio noi la generazione scelta per attraversare questo deserto e tracciare nuove vie. Generazioni prima di noi hanno avuto tante crisi ma non questa esperienza di perdita di consenso, di fare esperienza di essere minoranza e non solo noi Chiese protestanti”. Nel dialogo che si instaura tra Dio che chiama e Mosè che ascolta ponendo obiezioni, la pastora ha letto in filigrana il colloquio che si instaura tra cristiane e cristiani con il loro Signore. “L’annuncio passa attraverso un incontro: esperienza di un Dio incontrato, vissuto. Un fuoco brucia per riaccendere il fuoco di una passione spenta in Mosè, per riaccendere il fuoco di un desiderio accantonato. Questa è l’esperienza che Dio fa. Qui raccontata anche attraverso la forza di un’esperienza liturgica, un roveto ardente, calzari levati, un tempo sospeso eppure all’interno della vita, che parla alla vita di Mosè e lo trasforma”.
La forza della chiamata di Dio sta nel rendere partecipe Mosè del suo progetto di liberazione del popolo dalla condizione di schiavitù. Il coinvolgimento è il segreto di Dio, che fa porre ai nostri giorni, alle Chiese la domanda se il nodo dell’annuncio stia nella fatica di uscire dal modello della trasmissione della fede. “E se le nostre fatiche legate al Dio da annunciare è che non sentiamo, non sperimentiamo che Lui è presente? Ci sentiamo orfani, sospettiamo che Dio ci abbai abbandonato. Come annunciare il Dio che non viviamo. Mio Dio, mio Dio, perché ci sentiamo abbandonati?”, gli interrogativi posti dalla pastora, che ha concluso: “Non è bene che l’annunciatore sia solo. Proprio per un tempo come questo abbiamo bisogno di camminare insieme come Chiese sorelle, di aprire il confronto, valorizzare le differenze, interrogarci e celebrare insieme”.