“Essere un prete in Nigeria oggi fa paura”. A parlare al Sir è padre Tobias Chikezie Ihejirika, primo padre somasco di nazionalità nigeriana e confratello del missionario italiano padre Luigi Brenna, che ha subito un tentativo di rapimento il 3 luglio scorso, nella sua comunità a Ogunwenyi, nello Stato nigeriano di Edo. Padre Brenna è riuscito a liberarsi quasi miracolosamente dopo essere stato picchiato e aggredito con il machete. Ora sta bene ed è tornato in Italia dai familiari. Secondo i dati diffusi nei giorni scorsi da Aiuto alla Chiesa che soffre sono stati 18 i sacerdoti rapiti nel 2022 ma padre Ihejirika riferisce che in Nigeria si parla di almeno 50 sacerdoti, in maggioranza nigeriani. E c’è un sommerso sconosciuto, perché tanti nemmeno denunciano i fatti. “Padre Luigi è stato molto coraggioso perché ha resistito – racconta padre Tobias Chikezie Ihejirika –. Ha detto ai suoi rapitori: ‘Ammazzatemi se volete, ma io non vi seguo’. Siccome non riuscivano a farlo camminare lo hanno picchiato e lasciato in terra pensando fosse morto. È stato anche fortunato. È un uomo di carità e gioia”. Padre Tobias conosce altri quattro sacerdoti che hanno vissuto la terribile esperienza del sequestro, per mano di delinquenti comuni o dei più temuti pastori Fulani, gruppi armati di religione musulmana che cercano pascoli per le loro mucche e si finanziano tramite i rapimenti. “Le persone rapite vengono trattate molto male – racconta -. Sono costrette a camminare nella foresta ininterrottamente, non si fermano mai. Dormono all’aperto, ricevono poco cibo, alcuni muoiono perché malate e senza medicinali per curarsi. Qualcuno è stato perfino violentato. Quando la Chiesa o i familiari non pagano il riscatto oppure riconoscono qualcuno dei rapitori vengono uccisi”. Si parla di riscatti tra i 5 e i 10 milioni di naire nigeriane (pari 10.000/20.000 euro) ma ultimamente i Fulani chiedono anche di più. Inizialmente la Chiesa nigeriana avevo preso una posizione ferma: non pagava i riscatti, anche perché si trattava di delinquenti comuni. Per un po’ questa strategia ha funzionato. Ora non è più possibile, pena la morte sicura dei rapiti. A pagare sono le diocesi o i familiari. “I sacerdoti sono un bersaglio facile perché presenti in ogni villaggio – osserva padre Tobias -. Vengono visti come persone che vivono con un certo agio economico, automobili di proprietà, per cui pensano sia più facile ottenere il pagamento di un riscatto. Per loro è diventato un vero e proprio business che serve per finanziare l’acquisto di armi. Inoltre c’è anche un elemento di natura religiosa. Si dice che questi gruppi potrebbero avere contatti con il gruppo jihadista Boko haram, che vedono i preti come un ostacolo all’espansione dell’Islam”.