Con l’Ucraina che rappresenta da sola il 10% degli scambi mondiali di grano l’apertura di corridoi di pace per l’export rappresenterebbe un segnale importante per frenare la corsa dei prezzi dei cereali e rifornire i Paesi più poveri dove la chiusura degli scali rischia di provocare rivolte e carestie. È quanto afferma la Coldiretti dopo che uno dei temi principali di un nuovo colloquio telefonico tra il presidente russo, Vladimir Putin, ed il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan è stato la creazione di corridoi sicuri per esportare il grano ucraino attraverso il Mar Nero. In questo modo – sottolinea la Coldiretti – si potrebbe liberare anche lo spazio nei centri di stoccaggio per accogliere i nuovi raccolti di grano in arrivo tra poche settimane, stimati in calo di circa il 40% rispetto alle attese, a causa della guerra. Proprio dai suoi scali l’Ucraina commercializzava prima della guerra il 95% del grano prodotto, secondo il Centro Studi Divulga. Peraltro il blocco delle spedizioni dai porti del Mar Nero a causa dell’invasione russa ha alimentato l’interesse sul mercato delle materie prime agricole della speculazione che – spiega la Coldiretti – si sposta dai mercati finanziari ai metalli preziosi come l’oro fino ai prodotti agricoli dove le quotazioni dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie di mercato che trovano nei contratti derivati “future” uno strumento su cui chiunque può investire acquistando e vendendo solo virtualmente il prodotto, a danno degli agricoltori e dei consumatori. In questo scenario, dichiara la Coldiretti, il rischio carestia riguarda in particolare quei 53 Paesi dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione e risentono quindi in maniera devastante dall’aumento dei prezzi dei cereali causato dalla guerra. Russia e Ucraina rappresentano, sommate, poco più del 30% delle esportazioni di cereali, oltre il 16% di quelle di mais e oltre il 75% di quelle di olio di semi di girasole, secondo un’analisi del Centro Studi Divulga. Tra i più dipendenti dalle esportazioni cerealicole russe e ucraine, ci sono il vicino Egitto che importa il 70% dei cereali dai porti del Mar Nero, il Libano circa il 75% e lo Yemen poco meno del 50% – spiega Coldiretti – e la situazione non è molto diversa in Libia, Tunisia, Giordania e Marocco. Il rischio – evidenzia Coldiretti – è che con l’aumento dei prezzi e della spesa pubblica, fette sempre più ampie della popolazione possano restare senza protezione scatenando rivolte e proteste come quelle che hanno scosso lo Sri Lanka. A livello globale la produzione mondiale di grano per il 2022/23 è stimata in calo a 769 milioni, per effetto della riduzione in Ucraina con un quantitativo stimato di 19,4 milioni di tonnellate, circa il 40% in meno rispetto ai 33 milioni di tonnellate previsti per questa stagione ma anche negli Stati Uniti (46,8 milioni) e in India (105 milioni), secondo l’analisi della Coldiretti sugli ultimi dati dell’International Grains Council che evidenzia invece una crescita del 2,6% della produzione di grano in Russia per raggiungere 84,7 milioni di tonnellate delle quali circa la metà destinate all’esportazioni (39 milioni di tonnellate). Un’emergenza mondiale che riguarda direttamente anche l’Italia, un Paese deficitario ed importa addirittura il 62% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti, il 35% del grano duro per la pasta e il 46% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame. In Italia il raccolto di grano è previsto quest’anno in forte calo e dovrebbe attestarsi – continua la Coldiretti – attorno ai 6,5 miliardi di chili a livello nazionale su una superficie totale di 1,71 milioni di ettari coltivati fra grano duro per la pasta (1,21 milioni di ettari) e grano tenero per pane e biscotti (oltre mezzo milione di ettari).