Tre “antidoti” per “contribuite a mantenere il rapporto tra centro e periferia, tra piccolo e grande, tessendo relazioni e promuovendo percorsi di integrazione socio-sanitaria e socio-assistenziale”. Ad indicarli alla Confederazione “Federsanità” ricevuta oggi in udienza è Papa Francesco. Anzitutto, la prossimità come antidoto all’autoreferenzialità. “Vedere nel paziente un altro me stesso – ha spiegato il Pontefice – spezza le catene dell’egoismo, fa cadere il piedistallo sul quale a volte siamo tentati di salire e spinge a riconoscerci fratelli, a prescindere dalla lingua, dalla provenienza geografica, dallo status sociale o dalla condizione di salute. Se nelle persone che incontriamo nelle corsie degli ospedali, nelle case di cura, negli ambulatori riusciamo a scorgere prima di tutto dei fratelli e delle sorelle, cambia tutto: la ‘presa in carico’ smette di essere una questione burocratica e diventa incontro, accompagnamento, condivisione. Il nostro Dio è il Dio della prossimità” che “ha scelto di assumere la nostra carne” e “cammina con noi, sulle strade dissestate di questo mondo, come ha fatto con i discepoli di Emmaus”. “A noi – sottolinea il Papa – chiede di fare lo stesso”. “Farsi prossimi significa anche abbattere le distanze, fare in modo che non ci siano malati di ‘serie A’ e di ‘serie B’, mettere in circolo le energie e le risorse perché nessuno sia escluso dall’assistenza socio-sanitaria”. “Quando un Paese perde questa ricchezza che è la sanità pubblica, incomincia a fare distinzioni tra la popolazione, coloro che hanno accesso, che possono avere sanità, a pagamento, e coloro che sono senza servizio sanitario. Per questo è una ricchezza vostra, qui in Italia, la sanità pubblica: non perderla – il monito del Pontefice -, per favore, non perderla!”.