Torna a salire la tensione in Ecuador, mentre ci si avvicina alle tre settimane di protesta da parte degli indigeni. Il presidente Guillermo Lasso ha deciso lasciare il tavolo di dialogo con le organizzazioni indigene e sociali e di reintrodurre lo stato di emergenza in quattro province: Azuay (dove si trova Cuenca, la terza città del Paese, dove fino a qualche giorno fa non c’erano state manifestazioni), Imbabura, Sucumbíos e Orellana. Lasso ha abbandonato le trattative dopo che una protesta a Sushufindi, nella provincia amazzonica di Sucumbíos, aveva provocato la morte di un militare, oltre a dodici persone ferite. Nel frattempo, l’Assemblea nazionale ha messo ai voti la proposta di destituzione del presidente, che non è passata per alcuni voti (la proposta ne ha ricevuto 80, ne servivano 92).
Conferma da Quito don Giuliano Vallotto, sacerdote fidei donum della diocesi di Treviso: “Da lunedì sembrava si fosse trovato un inizio di soluzione, con la decisione di ambedue le parti di sedersi al tavolo del dialogo. Da una parte il Conaie, il raggruppamento delle organizzazioni indigene dell’’Ecuador e dall’altra i cinque poteri dello Stato (Governo, Assemblea legislativa, tribunale elettorale, consiglio di partecipazione cittadina, funzione giudiziaria). Il dialogo è effettivamente iniziato, guidato dal presidente dell’Assemblea legislativa, e moderatori erano un sacerdote e una religiosa Ma dopo la prima sessione, i rappresentanti del Governo non si sono più presentati, a causa di quanto accaduto a Shushufind. Nel frattempo è stata messa ai voti la decadenza del presidente e i partiti si sono spaccati in modo trasversale. C’è stata poi un’infelice dichiarazione del presidente che ha detto che non siederà al tavolo del dialogo finché Leonidas Iza continuerà a essere presidente del Conaie. Una maniera ben strana di scegliersi gli interlocutori”. Continua il sacerdote: “Gli indigeni mantengono con fermezza i 10 punti che sono la loro piattaforma rivendicativa. Devo dire che fin dall’inizio hanno mantenuto il timone sempre nella stessa direzione e questo, secondo me, mette in risalto la loro credibilità e, direi, la loro autonomia rispetto alle rappresentanze politiche. La loro compattezza non è stata intaccata nonostante i tentativi, peraltro infantili, di dividerli. Una cosa da sottolineare è che il movimento indigeno non scende in piazza solamente a Quito. Quasi in tutte le città dell’Ecuador ci sono manifestazioni di massa. In questi ultimi giorni si è mossa anche Cuenca che sembrava un po’ ai margini. Oggi a Quito è prevista una nuova grande manifestazione, ma i blocchi di polizia in città sono impressionanti, come ho visto io stesso”. Nel frattempo, in seguito ad alcune denunce di violenze commesse da parte delle forze di sicurezza, sia il programma latinoamericano “Centralidad de la Niñez” (Centralità dell’infanzia), una rete di soggetti sorta su iniziativa del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) e di altri organismi, sia il Comitato per i diritti dei minori dell’Onu hanno chiesto che vengano rispettati i diritti dei minori nel contesto delle proteste.