“Il lavoro degno è il grande organizzatore della vita umana e della felicità”, ma la possibilità di accedervi “non è un problema individuale; è la conseguenza di un modello che deve anteporre la produzione alla speculazione, la distribuzione alla concentrazione e all’accaparramento, il bene comune alla redditività del settore”. Lo si legge nel messaggio finale della Settimana sociale argentina, che si è tenuta, in presenza, a Mar del Plata dal 24 al 26 giugno, sotto il coordinamento della Commissione episcopale di pastorale sociale della Conferenza episcopale argentina (Cea). “Integrazione e lavoro per una patria di fratelli” era il titolo della tre giorni, che ha avuto il significato di un forte appello “al dialogo, all’integrazione umana e alla creazione di un lavoro degno”, anche attraverso “il consolidamento di modelli di economia popolare sostenibili”. Soprattutto, “è imprescindibile un autentico piano di sviluppo umano integrale sostenibile”, che includa un progetto “per affrontare il disperato bisogno di terra, casa e lavoro che gran parte della nostra gente ha”.
Il messaggio finale si occupa anche della figura del datore di lavoro (durante gli incontri di Mar del Plata è stata data voce ad alcuni di loro), che si evidenzia come qualcosa di “fondamentale per ogni buona economia”. Il vero datore di lavoro “è colui che conosce i suoi lavoratori perché lavora al loro fianco e con loro”.
In relazione alla politica, il messaggio sottolinea “la necessità di ricostruire la fiducia nel nostro Paese, e con esso il senso di appartenenza”: “Si deve generare un accordo politico, sociale e imprenditoriale, ricercando una visione che superi la violenza legata alla lotta per gli spazi di potere”, insistendo sul soddisfacimento dei bisogni reali e su “politiche di redistribuzione del reddito per colmare il divario sociale”.
Il messaggio mostra preoccupazione per la disuguaglianza economica e l’eccessiva concentrazione della ricchezza e le sue gravi conseguenze, insistendo sull’inaccettabilità del gran numero “di fratelli in situazione di povertà”. Nonostante la patria appartenga a tutti, rimane “una permanente istigazione all’odio e al disaccordo, che impedisce di riconoscerci fratelli e di compiere passi ulteriori in termini di unità”.
Invece, difendere il sistema democratico è “compito di tutti i livelli di potere”; lo stesso vale per gli sforzi necessari a “costruire accordi che garantiscano lavoro dignitoso e integrazione a tutti gli abitanti del nostro Paese”.