È salito a sette il bilancio delle vittime delle proteste in Ecuador, dopo 12 giorni di sollevazione popolare da parte degli indigeni, su convocazione del loro principale organismo di rappresentanza, il Conaie. Una protesta che, nonostante i reiterati inviti al dialogo (che per un momento giovedì sembravano aver fatto breccia), in particolare giunti dall’episcopato ecuadoriano, rischia di estendersi (di fatto il Paese è bloccato) e radicalizzarsi. “Tra giovedì e venerdì notte – racconta al Sir da Quito, capitale del Paese ed epicentro della protesta, don Giuliano Vallotto, missionario fidei donum della diocesi di Treviso – c’è stata una forte repressione da parte della polizia. Ci sono stati due morti e molti feriti. La situazione si sta facendo drammatica. Il gruppo dei parlamentari vicini all’ex presidente Correa ha deciso di avviare le pratiche per chiedere la destituzione del presidente. Guillermo Lasso. L’iter prevede la convocazione in aula del presidente per ascoltare le sue ragioni e poi la votazione che deve essere sostenuta dai due terzi dei parlamentari. A oggi non pare esserci una maggioranza, ma la situazione in generale si sta inasprendo. In questo momento stanno piovendo sulla folla bombe lacrimogene in maniera immotivata. I tassisti si sono aggiunti allo sciopero. Con i due morti di ieri, già sono 7 le vite perdute”. Invece, nel sud di Quito, “dove noi abitiamo – prosegue il missionario – viviamo in un silenzio irreale. Tacciono le scuole elementari e superiori, il traffico è quasi inesistente, tutto si concentra nel centro storico”. Dalla Conferenza episcopale ecuadoriana è arrivato un forte appello al dialogo, visto come la via “più intelligente e fraterna”, prevedendo l’incontro il Governo ed i movimenti indigeni e sociali. “Interpretando i sentimenti della maggior parte degli ecuadoriani che desiderano e chiedono la pace – hanno affermato i Vescovi -, diverse organizzazioni della società civile propongono al Governo e alle organizzazioni e ai movimenti sociali, una tregua, basata sull’impegno concreto, accompagnata da osservatori e garanti di alto profilo, a livello nazionale e internazionale, ritenuti adatti dalle parti”. La condizione perché il tavolo diretto si sviluppi, secondo l’episcopato, è che si apra un canale diretto di dialogo tra Governo e Conaie; ma anche la sospensione della protesta e la ripresa immediata della consegna di viveri in tutto il Paese. “Noi ci offriamo come osservatori di tutto questo processo”, hanno ribadito i vescovi.