“Stiamo vivendo una crisi economica mai vista prima, Abbiamo tanti nuovi poveri e nuovi bisogni. Stiamo aiutando il popolo a vivere”: lo dice al Sir padre Michel Abboud, presidente di Caritas Libano, che oggi interviene alla terza giornata dei lavori al 42° Convegno nazionale delle Caritas diocesane in corso dal 20 al 23 giugno a Rho (Milano). “Uno stipendio di 1.000 dollari ora vale come 100 dollari – racconta -. Le persone non possono andare in ospedale perché non hanno i soldi per pagare le cure, allora tutti vengono alla Caritas, anche se i nuovi poveri non sono abituati a chiedere. Prima con la pandemia non potevamo muoverci ma ora che stiamo tornando nelle case vediamo tante persone che si rifiutano di andare in ospedale e chiedono di morire a casa loro. Non è mai successo di vedere insegnanti che la mattina cercano il cibo nella spazzatura”. C’è però una parte della società libanese ancora benestante: sono quelli che non hanno voluto ricostruire le case devastate dall’esplosione al porto di Beirut il 4 agosto 2020 e hanno deciso invece di fuggire all’estero. In un anno 200.000 libanesi hanno lasciato il Paese per cercare lavoro altrove. I meno abbienti partono anche affidandosi ai trafficanti e percorrendo le rotte mediterranee del mare. “Il Libano non è un Paese povero, è un Paese rubato – afferma padre Abboud -. Abbiamo davanti un futuro oscuro”. Tre mesi fa la Caritas ha realizzato uno studio da cui è emerso che ogni due giorni si verifica un caso di suicidio: “È stata una sorpresa per noi. Perché c’è tanta gente che non riesce ad arrivare a fine mese”. Dopo l’esplosione al porto di Beirut nel 2020 “per la prima volta stiamo accogliendo persone e famiglie che chiedono aiuto psicologico – continua -. Stanno ancora vivendo il trauma di quella tragedia. Molti hanno perso casa, famiglia e salute. I bambini non dormono la notte, hanno incubi”. Una persona su 4 in Libano è un rifugiato (siriano o palestinese) e la Caritas aiuta tutti, libanesi e rifugiati. “Si è creato un grande conflitto sociale – dice padre Abboud -. Quando la gente vede i siriani che vanno in banca a prendere i soldi dei progetti internazionali i libanesi reagiscono male. Noi cerchiamo di spiegare che tutti questi soldi vengono dall’estero, non dal Libano”. Ora, conclude, “stiamo facendo tanti progetti per i nuovi poveri e per lo sviluppo. Ma abbiamo paura che gli aiuti non arrivino a causa del conflitto in Ucraina”.