Poco meno di 90 milioni di individui hanno lasciato le proprie case in fuga da conflitti, disastri, dittature e povertà nel 2021. Circa la metà sono bambini, alcuni dei quali vagano per terre difficili se non ostili, da soli. La maggior parte resta nei contesti di prossimità e va ad ingrossare le fila già numerose degli sfollati in Africa, Asia, America del Sud. Molto pochi, anche per le politiche restrittive e miopi dei governi occidentali, vengono in Europa. Per chi raggiunge in modi rocamboleschi ed estremamente pericolosi il nostro Paese, il Cies (Centro informazione e educazione allo sviluppo) Onlus propone una via originale di accoglienza nello Spazio giovani e Scuola d’arte MaTeMù
“A MaTeMù – spiega Adriano Rossi, direttore – crediamo che al di là dei generi di prima necessità, ai migranti forzati vada garantita la possibilità di esercitare la propria cultura, sviluppare le proprie aspirazioni più alte, e pareggiare, così, le opportunità di accesso. Da oltre 12 anni offriamo corsi di musica, teatro e danza gratuiti a migliaia di giovani e giovanissimi”. “Per noi – conclude – è la via migliore all’integrazione”.
MaTeMú è situato nel cuore del quartiere Esquilino, è aperto nei giorni feriali per tutto l’anno e offre corsi gratuiti di musica, danza, teatro, hip-hop, italiano a ragazze e ragazzi dai 10 ai 25 anni. Negli anni, grazie al contatto con oltre diecimila giovani romani della periferia e del centro, migranti, richiedenti asilo e minori stranieri non accompagnati, è divenuto un polo di riferimento per la città di Roma e si pone come modello di integrazione attraverso un approccio multiculturale e artistico.
“Ho fatto un percorso migratorio molto complicato – dice Soumaila, rifugiato ventiquattrenne arrivato da minore nel nostro Paese – e all’inizio è stato molto difficile: dovevo lavorare ma senza permesso di soggiorno non era possibile. Per ottenerlo, però, dovevo dimostrare di avere un impegno stabile”. Così, il corso di batteria gratuito propostogli a MaTeMú gli ha cambiato la vita: “Mi ha permesso di non rinunciare a quel lato spirituale, artistico, culturale che c’è in ognuno di noi, non ho dovuto scegliere tra il pane e i miei sogni e questo mi ha aperto la via per sentirmi integrato”. Ed oggi, al centro del progetto di integrazione vi sono anche i rifugiati ucraini.