“Al cuore del nostro servizio ecclesiale c’è l’evangelizzazione, che non è mai proselitismo”. A ribadirlo è il Papa, nel discorso scritto e consegnato durante l’udienza ai formatori del Seminario arcivescovile di Milano, in occasione del 150° anniversario della rivista “La Scuola Cattolica”. “Tutti gli uomini e le donne hanno il diritto di ricevere il Vangelo e i cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno”, afferma Francesco: “Tutto il popolo di Dio, pellegrino ed evangelizzatore, annuncia il Vangelo perché, anzitutto, è un popolo in cammino verso Dio. E in questo cammino non può sottrarsi al dialogo con il mondo, con le culture e le religioni”. “Il dialogo è una forma di accoglienza e la teologia che evangelizza è una teologia che si nutre di dialogo e di accoglienza”, la tesi del Papa: “Il dialogo e la memoria viva della testimonianza d’amore e di pace di Gesù Cristo sono le vie da percorrere per costruire insieme un futuro di giustizia, di fraternità, di pace per l’intera famiglia umana. Senza umiltà lo Spirito scappa via, senza umiltà non c’è compassione, e una teologia priva di compassione e di misericordia si riduce a un discorso sterile su Dio, magari bello, ma vuoto, senz’anima, incapace di servire la sua volontà di incarnarsi, di farsi presente, di parlare al cuore. Perché la pienezza della verità – alla quale lo Spirito conduce – non è tale se non è incarnata”. Per Francesco, “insegnare e studiare teologia significa vivere su una frontiera, quella in cui il Vangelo incontra le necessità reali della gente”: “Anche i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite di molti”. “Né la Chiesa né il mondo hanno bisogno di una teologia ‘da tavolino’, ma di una riflessione capace di accompagnare i processi culturali e sociali, in particolare le transizioni difficili, facendosi carico anche dei conflitti”, il monito: “Dobbiamo guardarci da una teologia che si esaurisce nella disputa accademica o che guarda l’umanità da un castello di pietra. Il Vangelo non manca di ricordarci che il sale può perdere il proprio sapore. E se noi viviamo più o meno tranquilli in mezzo al mondo, senza una sana inquietudine, questo può significare che ci siamo intiepiditi. Ecco perché abbiamo bisogno di una teologia viva, che dà ‘sapore’ oltre che ‘sapere’, che sia alla base di un dialogo ecclesiale serio, di un discernimento sinodale, da organizzare e praticare nelle comunità locali, per un rilancio della fede nelle trasformazioni culturali di oggi”.