Situazione di estrema tensione in Ecuador, dove la Conaie, la principale organizzazione indigena del Paese, ha proclamato uno sciopero a oltranza a partire dal 13 giugno, dopo l’arresto del proprio presidente, Leonidas Iza, accusato di interruzione di pubblico servizio. Quest’ultimo il giorno dopo è stato rilasciato, ma rischia comunque una condanna a tre anni di carcere.
La vicenda ha fatto da detonatore di una protesta che covava da mesi, contro le politiche neoliberali del presidente Guillermo Lasso, e molti temono che si ripeta la situazione dell’ottobre 2019, quando la protesta indigena paralizzò di fatto il Paese per giorni.
Sulla situazione di tensione interviene, con una nota, la Conferenza episcopale dell’Ecuador: “Come cittadini e fratelli di ognuno di voi, ci sentiamo profondamente preoccupati per la situazione sociale, economica e politica del nostro Paese. Non siamo estranei al grido del nostro popolo, che chiede giorni migliori per tutti, ma siamo anche consapevoli che questo è un percorso che dobbiamo costruire insieme. Guardiamo al momento presente con grande preoccupazione. Non possiamo mai essere d’accordo con la violenza, da qualunque parte provenga e in qualunque forma. Ne siamo convinti, non è questo il percorso che dobbiamo seguire se vogliamo costruire un Ecuador migliore”.
Da qui l’appello rivolto al Governo e alla Conaie, a tutti i movimenti sociali e politici, agli uomini di buona volontà: “Cerchiamo insieme soluzioni adeguate attraverso il dialogo, pensando soprattutto al bene comune e al benessere dei più poveri del nostro Paese”.
Da parte della Rete nazionale di pastorale ecologica (Renape) arriva l’appello al Governo di “ascoltare i leader e le loro richieste, che sono le richieste dell’intero popolo ecuadoriano. E insistiamo sul fatto che l’ascolto è il primo e indispensabile ingrediente del dialogo”.
“Crediamo – scrive la Rete nazionale – che lo sciopero nazionale indetto dalla Conaie e da altre organizzazioni dal 13 giugno sia una misura di forza assunta da queste organizzazioni di fronte all’aumento del costo della vita e in particolare del paniere alimentare di base, alla precarietà del lavoro e disoccupazione, alla riduzione del budget e delle garanzie di accesso alla salute e ai diritti all’istruzione, all’aumento dell’insicurezza e della violenza in diverse aree del Paese, all’imposizione di attività estrattive, minerarie e petrolifere, in violazione dei diritti collettivi e della natura”.