Non mancano reazioni, non solo in Bolivia, ma anche internazionali alla sentenza con la quale il primo Tribunale anticorruzione di La Paz ha condannato l’ex presidente provvisoria, Jeanine Áñez, a 10 anni di carcere per averla dichiarata colpevole nel cosiddetto “golpe” attraverso il quale, secondo i giudici, sarebbe salita al potere dopo la fuga dal Paese, nel 2019, dell’allora presidente Evo Morales. La sentenza è stata letta nella tarda serata di venerdì scorso dal presidente del Primo tribunale anticorruzione di La Paz, German Campos. L’ex presidente, che farà comunque appello, dovrebbe scontare la sua pena nel Centro di orientamento delle donne di Miraflores, dove si trova dal marzo dello scorso anno. Sempre rispetto ai fatti del 2019, l’ex ispettore generale delle Forze armate Jorge Elmer Fernández Toranzo e l’ex Capo di Stato maggiore Sergio Orellana sono stati condannati a 4 anni di reclusione; l’ex comandante dell’esercito Jorge Pastor Mendieta a 3 anni di carcere e l’ex comandante della Marina ammiraglio Flavio San Martín a 2 anni di carcere.
Evo Morales, tornato in Bolivia dopo la vittoria del suo delfino Luis Arce alle elezioni di fine 2020, ha definito “benevola” la sentenza, contrariamente alle opposizioni, che hanno fortemente criticato la decisione, invitando alla mobilitazione. Non ha preso posizione al momento, la Conferenza episcopale boliviana, che in molte recenti occasioni si è spesa per chiedere un sistema giudiziario indipendente rispetto al potere politico. Lo scorso anno la Chiesa colombiana aveva ricostruito gli eventi del novembre 2019 in modo ordinato, mettendo in fila date e scelte. Nel rapporto di 25 pagine emerge, per esempio, che Áñez divenne presidente solo dopo la “fuga” di Morales e con il voto del Parlamento, nel quale il Mas aveva i due terzi dei voti. E si ricorda il lavoro del tavolo di dialogo (al quale partecipò anche il Mas in tutte le sue fasi) che riuscì a evitare una guerra civile, con il fondamentale contributo, tra gli altri, della Chiesa e dell’Unione europea.