A un mese dal suo ingresso nella diocesi di Lamezia Terme, il settimanale diocesano “Lamezia Nuova” ha incontrato il vescovo, mons. Serafino Parisi, per una lunga intervista. La prima domanda riguarda la sua nomina, definita “inaspettata”. “Inaspettata per due motivi”, afferma mons. Parisi. “Il primo è dato dalla nomina in sé: queste cose accadono all’improvviso e noi crediamo che siano pensate dall’alto. L’altro è dovuto al fatto che Lamezia era fuori dai fatti in quanto, essendoci monsignor Schillaci da tre anni, sembrava davvero un posto impensabile. Quindi, sono stato colto di sorpresa due volte: sia per la chiamata all’episcopato, sia per la sede di Lamezia”. Però, “provando a riflettere positivamente sulla cosa, constato che dopo gli anni di formazione tra Roma e Gerusalemme, dopo aver lavorato dal 1991 in Calabria, sia come docente all’Istituto teologico calabro sia come parroco nella diocesi di Crotone-Santa Severina, sono 32 lunghi anni in questa terra calabra. Poter svolgere questo nuovo servizio in Calabria, e segnatamente a Lamezia e non altrove, mi intriga molto e mi appassiona”.
Lamezia e Crotone sono due territori molto difficili e complicati. Cosa li accomuna e cosa li differenzia? “In comune hanno il nostro ‘spirito calabrese’ che è fatto di grande desiderio, di slancio ed anche di scommessa sull’impegno individuale. Però, c’è anche un versante critico, che unisce allo ‘stile’ di procedere individualisticamente, la condizione di non essere sempre pronti e preparati alle emergenze e alle provocazioni della storia. Per uno spettro che si aggira dentro il nostro contesto, è come se fossimo impreparati alle urgenze del momento. Sappiamo, però, che come, da una parte, non si possono inseguire sempre le urgenze, perché c’è bisogno di programmazione e progettazione a medio e lungo termine, dall’altra parte, siamo chiamati a superare l’individualismo, anche nelle richieste, nell’impegno e nelle scelte, per imparare ad essere nella storia e a servizio di essa, come comunità”.