Festa della Repubblica: card. Zuppi, “non possiamo più accettare, eppure succede ancora spesso, che il luogo di lavoro diventi un luogo di morte”

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Carissima, carissimo, la vedo operare negli uffici, nelle aule di università o delle scuole, in quelle di un tribunale o nelle stanze dove si difende la sicurezza delle persone, nelle corsie dove si cura o nel front office di uno sportello, nei laboratori o lungo le strade per renderle belle e proprie, nei ministeri o in qualche ufficio isolato dove non la nota nessuno, nei cortili delle caserme o nei bracci delle carceri. In realtà tanta parte del suo lavoro non si vede, ma questa lettera è per lei. Istintivamente le darei del tu, ma preferisco cominciare dal lei per il grande rispetto che nutro”. Inizia così la lettera che l’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha scritto, in occasione della Festa della Repubblica, rivolgendosi a quanti lavorano nelle istituzioni, richiamando l’importanza di un servizio che si esprime in vari ambiti e settori della vita umana e che va a beneficio dell’intera comunità.
Ricordando la figura di Madeleine Delbrêl, una donna molto religiosa e impegnata nel sociale, l’arcivescovo aggiunge: “A proposito delle persone, come lei diceva, sono il filo che tiene insieme il vestito: la capacità del sarto è proprio quella di non farlo vedere, ma il filo è necessario perché i pezzi di stoffa si reggano insieme. Così è il suo lavoro, prezioso per le istituzioni della nostra casa comune, e ogni pezzo è importante. Davvero”.
Il presidente della Cei esprime gratitudine e apprezzamento per la generosità e la competenza, per il servizio svolto, l’impegno per “le cose di tutti senza nascondere problemi, ritardi e disfunzioni”. Il porporato ricorda anche il welfare e il lavoro, avvertendo: “Non possiamo più accettare, eppure succede ancora spesso, che il luogo di lavoro, che è per la vita, diventi invece un luogo di morte. Penso a chi non è più tornato a casa e alle mogli e ai figli che hanno aspettato invano i propri cari: questo mi addolora, mi commuove e non smetto di chiedere condizioni di lavoro sicure per tutti. Vorrei un lavoro sempre meno a tempo determinato e più stabile, perché deve contenere il futuro: per sé, per la propria famiglia, per i figli, sì, per i figli. Senza figli per chi si lavora? Vorrei, poi, che il lavoro fosse lavoro buono e non solo lavoro: che i lavoratori fossero sempre messi in regola e che nessuno sia più sfruttato. Possibile che oggi c’è ancora chi non mette le persone in regola?”.
Rivolgendosi ancora a chi opera nelle istituzioni, sottolinea: “Il suo lavoro è un servizio per il bene della comunità, composta da tante persone. Così tante che non possiamo sapere chi siano, eppure sono la mia e la nostra comunità. Sì, perché siamo una comunità, dobbiamo tornare a esserlo”.

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