“Una questione che ritengo rilevante è la terminologia che utilizziamo. È evidente che le parole sono importanti e dietro di esse è sempre possibile intravedere una filosofia di fondo, un pensiero, un ragionamento, un significato. Ed ancora di più occorre stare attenti in questo momento così delicato, nel quale tra le altre cose si sta scrivendo il Piano di azione contro le dipendenze”. Lo ha detto Luciano Squillaci, presidente della Fict, in occasione del convegno nazionale della pastorale della salute, in corso a Cagliari.
“Quando utilizziamo il termine ‘persone che usano droghe’, per intero o peggio nel suo acronimo Pud, stiamo di fatto considerando la possibilità che esistano donne e uomini, o anche ragazze e ragazzi o ,come sempre più spesso accade, bambine e bambini, che usano sostanze illegali. E questo mi pare ovvio ed inconfutabile. Ma nel momento li ‘denominiamo’, diamo loro un nome, li stiamo identificando e qualificando. Credo che sia un messaggio estremamente fuorviante dare un nome, conferire una categoria specifica alle persone che usano droga perché così facendo compiamo un ulteriore e decisivo passo verso la ‘normalizzazione’ dell’uso. E la normalizzazione è l’anticamera della cronicizzazione”, ha denunciato Squillaci, per il quale è “incoerente, oltre che molto pericoloso, che il Piano di azione nazionale contro le dipendenze preveda tra i propri obiettivi la creazione di un Dipartimento per la tutela della salute dei Pud, facendo scomparire la dizione dipendenza, come se il Dipartimento dovesse occuparsi solo di problemi altri, magari (e non è neanche detto) correlati all’uso di droga. E tutto questo all’interno di Piano contro le dipendenze. C’è in tutto questo una evidente incoerenza concettuale”.
“Eppure – prosegue – il quadro delle dipendenze in Italia non rimanda certo a situazioni da minimizzare o peggio ‘normalizzare’. La Relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze (dati 2020) parla di oltre 136mila persone in carico in ai servizi, ma fa riferimento esclusivamente alle persone prese in carico, cioè a quella parte limitata di soggetti che fanno un uso ‘problematico’ di sostanze e che riusciamo ancora ad intercettare attraverso il sistema ‘ufficiale’ dei servizi. Manca tutto un altro pezzo di fenomeno che si stima essere 5 volte superiore e che, invece, non si riesce ad intercettare con strumenti ormai vetusti ed ingessati. In Italia infatti sono 4 milioni le persone che usano sostanze illegali e di queste almeno 500mila lo fanno in maniera strutturale”.
Squillaci avverte: “Troppo spesso questo grido rimane inascoltato e lo si intuisce dalla scarsa attenzione rivolta al tema tossicodipendenza. E lo si intuisce dai pochi posti disponibili nelle strutture italiane dedicati ai giovanissimi e alle strutture mamma-bambino, dalle disuguaglianze tra Regioni nel trattamento delle dipendenze, dai pochi investimenti sul futuro delle persone che, una volta ripresa in mano la propria vita, si trovano ad affrontare l’incognita di un futuro carico di incertezze economiche e pregiudizi”.