“È un primo passo fondamentale perché viene riconosciuta la dignità del bambino, che insieme alla sua mamma, che evidentemente ha compiuto dei reati, possa rimanere nel legame di relazione madre-figlio, ma al di fuori della struttura carceraria, accompagnato in un percorso di accoglienza nelle case famiglia o nelle comunità che hanno anche la competenza di sostenere un processo educativo della mamma nei confronti del bambino”. Lo dice al Sir il presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23), Giovanni Paolo Ramonda, commentando la prima approvazione, ieri, alla Camera, con 241 voti favorevoli e 7 contrari, della proposta di legge “Tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”.
Ci sono molti aspetti positivi, come sottolinea Ramonda: “Il bambino potrà andare a scuola dove vanno tutti, potrà andare all’oratorio, potrà andare a giocare, potrà andare al cinema”. “Il bambino – ricorda il presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII – cresce nella misura in cui sta con la mamma, vive in un ambiente accogliente, più allargato, e può vivere le stesse esperienze che vivono i suoi coetanei, non restando dietro le sbarre o le mura di un carcere. Con questo non sminuiamo il lavoro di chi opera in carcere, ma un bambino in carcere è come un pesce fuori dell’acqua, con delle possibili carenze nel suo sviluppo psico-affettivo”.
La Comunità Papa Giovanni XXIII è da anni impegnata a denunciare la presenza in carcere di questi “bimbi reclusi” e a promuovere pene alternative alla detenzione per mamme e bambini. “Già il nostro fondatore don Oreste Benzi, poi dopo di lui anche noi ci siamo confrontati su questo fronte con i vari ministri della Giustizia, che si sono succeduti nel tempo; l’attuale, Marta Cartabia, è molto sensibile a questo orientamento – precisa Ramonda -. Noi abbiamo sempre lavorato insieme con le istituzioni perché vogliamo che esse siano a favore della persona, in questo caso di queste creature con le loro mamme”.
Si arriverà in tempi brevi all’approvazione della legge? “Noi speriamo e talloniamo, in un rapporto, costruttivo le istituzioni, perché, pur prese da tantissime altre emergenze una dietro l’altra, si risponda a quest’altra ’emergenza’ che è il grido che sale da questi bambini alla società per avere una risposta adeguata al loro bisogno”. In carcere, al momento, ci sono una trentina di bambini sotto i sei anni con le loro mamme detenute. “Fosse anche, attualmente, un solo bambino con una mamma è già troppo”, afferma il presidente dell’Apg23. Già ora, ci racconta, “siamo chiamati da vari carceri perché il processo che porta a una pena alternativa richiede dei passi sia giuridici sia di conoscenza della mamma con il bambino e di presentazione delle case famiglia che si rendono disponibili ad accoglierli”.